In fila al supermercato e in farmacia. Da due settimane faccio file impensabili per comprare pane, pomodori e generi di prima necessità. Gli altri negozi sono quasi tutti chiusi a Roma, come in tutta Italia, per cercare di contenere la spaventosa avanzata del Coronavirus. Scuole, musei, cinema, teatri, discoteche, palestre, bar, ristoranti hanno sbarrato le porte. La città eterna è irriconoscibile: prima si è svuotata per la fuga dei turisti poi per i romani trincerati a casa.
Le file si snodano per decine di metri (e anche più) davanti ai supermercati mentre la città è deserta come se fossimo a Ferragosto. Le persone, disciplinate e pazienti, osservano la coda e guardano attoniti gli altri con il volto sfigurato dalle mascherine per proteggersi dal virus. Solo raramente qualcuno “sbotta” e dà in escandescenze. Uno in fila mi ha guardato torvo con gli occhi fuori dalla orbite e dalla mascherina: «Si faccia più in la…!». In genere prevale una composta paura. Una donna dice: «Vivo un incubo insopportabile! Non ne posso più! Mi sento minacciata». Una donna anziana ricorda: «È come la guerra. La città era nel caos, ma il nemico si vedeva. Ero bambina, rammento che quando suonavano le sirene dei bombardamenti aerei, tutti scappavamo nei rifugi!».
Già, nella Seconda guerra mondiale, si vedevano i nemici: prima erano i bombardieri anglo-americani e poi i soldati tedeschi occupanti con i mitra e i blindati. Adesso il virus, il Covid-19 emerso in Cina alla fine dell’anno scorso, non si vede. Un colpo di tosse e un po’ di febbre mettono subito tutti in allarme: potrebbe essere il sintomo del pericoloso contagio.
In fila al supermercato c’è anche chi ancora sminuisce, smorza: un po’ per scetticismo e un po’ per scaramanzia. Un uomo dall’altezza imponente fa una battuta: «Ho avuto quattro broncopolmoniti e sono ancora qui!». Non solo. Evita di ricordarlo ma le sue disavventure sanitarie sono state molto più complesse: da ragazzo ha avuto anche un pericolosissimo tumore al pancreas e miracolosamente si è salvato.
Lo stato di emergenza sanitaria deciso da Giuseppe Conte pesa. Pesa moltissimo l’appello-decisione del presidente del Consiglio a «restare a casa» per impedire il moltiplicarsi della malattia. Difatti Roma è deserta, è stravolta da questo impensabile coprifuoco. È un cambio epocale di abitudini.
Una editor col computer dai mille usi commenta: «In pochi giorni è cambiato il mondo. Non si può più uscire da casa. Stiamo in galera, addio libertà! I contatti con il mondo ora sono solo virtuali, digitali, informatici, telefonici. Quando si va a fare la spesa è la nostra ora d’aria». Già, è così. E la fila al supermercato può durare anche una logorante lunghissima ora, forse l’”ora d’aria” dei detenuti passa in maniera meno triste e stressante.
Ognuno cerca un modo per reagire e restare in pista continuando a lavorare da casa tramite il computer (il “lavoro agile” o il “telelavoro”). C’è, invece, chi legge, chi scrive, chi fa piccoli lavori casalinghi. Chi s’informa sul Coronavirus con i quotidiani, i giornali online, i Tg, Internet. L’Italia si scopre certamente più nervosa, ma comunque più responsabile e più disciplinata, meno egoista e populista.
C’è una grande voglia di reagire. Alle 18, ogni giorno (proprio quando sono annunciati in televisione i nuovi drammatici dati sull’esplosione del contagio e dei morti concentrati in Lombardia), qualcuno si affaccia dal balcone e canta canzoni molto popolari: come “Azzurro” “Volare”, “Tanto pe’ Cantà”. Apro la finestra sul cortile del mio palazzo e vedo un maxi cartello con la scritta a caratteri cubitali: «Andrà tutto bene». Sento una canzone: «Lasciatemi cantare… Sono un italiano. Un italiano vero…». Molte altre voci si associano a quelle del cantante, presto diventa un coro. Subito dopo partono dai coinquilini affacciati dalle finestre scroscianti applausi. Alle 21, invece, scatta l’iniziativa delle torce e delle luci dei telefonini accese e la notte si illumina.
Sempre più spesso si aprono le finestre e i balconi dei palazzi in tutta Italia con un obiettivo impensabile: compaiono ragazzi e uomini adulti e cominciano a cantare e suonare. Qualcuno si accompagna con fisarmoniche, chitarre e trombe; altri usano mestoli e pentole della cucina; molti mettono unicamente alla prova la propria ugola anche con dubbi risultati. Cantano l’Inno di Mameli e pezzi di Giuseppe Verdi, brani di Rino Gaetano e musiche regionali.
Gli italiani vanno sui balconi e alle finestre per battere le mani ai medici e agli infermieri che lottano con coraggio negli ospedali e negli ambulatori. Cantano e battono le mani assieme per rincuorarsi e essere uniti contro la pandemia. l tam tam degli appuntamenti gira su Internet e ha avuto un discreto successo. È una reazione alla tragedia del Coronavirus, il nemico invisibile.