«Nulla sarà più come prima», in questi giorni, in queste settimane di pandemia da Covid 19, è una frase ricorrente, in tanti giurano che il nostro domani sarà completamente diverso…
Ora, analizzare in cosa si concretizzeranno questi cambiamenti, mi sembra pura speculazione. Nessuna guerra ha cambiato il modo di essere dell’umanità, nessuna pandemia, dalla peste nera del quattordicesimo secolo alla decimazione di decine di milioni di individui causata della Spagnola del 1918, perché, quindi, proprio ora, il domani dovrebbe essere diverso? Certo la crisi economica e umana che si profila incombente e inevitabile apporterà modifiche nelle istituzioni, nei rapporti tra Stati, nella sanità, nell’economia… ma alla fine l’uomo con i suoi pregi ed i suoi difetti avrà nuovamente il sopravvento su tutto e tutti.
In questi giorni drammatici c’è chi si batte per chiusure totali e chi, invece, vuole già tornare ad una normalità di produzione economica e industriale, insomma, se andiamo ad analizzare freddamente i fatti e quanto avviene negli ospedali e nelle case (e qui il silenzio delle mura domestiche oscura la realtà), siamo già di fronte ad una accuratamente mascherata «immunità di gregge».
Ma queste digressioni pseudo filosofiche-psicologiche ci allontanano dalle questioni concrete e reali che stiamo vivendo sul fronte umano, politico e perché no, anche religioso. E allora le immagini incredibili di un sagrato di San Pietro deserto e spettrale, bagnato da una pioggia battente, non le dimenticheremo molto facilmente.
Papa Francesco, in un rituale inedito e inusuale, invoca la benedizione divina contro la pandemia (chissà che nella memoria del Santo Padre non siano riaffiorate le piaghe ed i prodigi-segnali inflitti al popolo egiziano), è lì, solo, nella sua veste bianca, incurante della pioggia e sofferente per l’impossibilità di stringere, consolare e infondere speranza a tutti i fedeli e non solo.
Per chi crede, immagini indimenticabili, fotografia indelebile che segna per sempre quello che avviene in questi giorni drammatici, per chi non crede, una lezione di umiltà e di dedizione, la capacità di essere Papa tra la gente, anche e soprattutto quando la piazza è deserta. Una richiesta certamente prima di tutto religiosa e di fede, ma anche umana, in quanto rivolta a tutti «gli uomini di buona volontà», indirizzata a quei potenti della Terra che come fece Pilato «si lavano le mani» e invece di allargare l’orizzonte della loro anima si rinchiudono nell’interesse privato e personalissimo, voltando gli occhi e chiudendo l’anima in un recinto, in una gabbia che non le appartiene e non le può appartenere.
E dall’universalità della fede torniamo con i piedi per terra, in quella Terra comunemente nota come vecchio continente, l’Europa, quella manciata di Paesi che dopo la Seconda Guerra Mondiale decisero, per evitare nuovi conflitti, di dare vita ad un’unione via via sempre più stretta e allargata. Finanza, commercio, economia, libera circolazione, fin dagli albori a dominare la nascita e la crescita di questa Europa (nota come Ceca alle sue origini, Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio) è sempre l’elemento economico, finanziario e commerciale un connubio che non si è mai spezzato, ma ha proseguito la sua crescita fino ad arrivare ad una moneta unica e ad una partecipazione di 27 paesi.
Vani i tentativi che nel corso di 50 anni (come avevano predicato i padri fondatori) sono stati fatti per dare a questa Europa un’anima vera, un’anima comune, quella Costituzione che rappresenta il cuore di tante Nazioni, ma che l’Europa caparbiamente per interessi di bottega e di paese non è mai riuscita a varare. E allora che senso ha un aggregato di paesi senza anima, senza un cuore unico?
L’emergenza del Coronavirus avrebbe dovuto far emergere quell’anima comune, quella solidarietà tra nazioni auspicata e voluta dai padri fondatori come Konrad Adenauer, Nicole Fontaine, Altiero Spinelli, Alcide de Gasperi, Ursula Hirschmann, Robert Schuman, Melina Mercouri e via via come Helmut Kohl, Nicole Fontaine, Francois Mitterrand… sono solo alcuni degli uomini e delle donne che avevano in mente un’Europa diversa, un’Europa con un’anima, con una Costituzione comune e un progetto condiviso.
Sono passati 70 anni e l’Europa non è mai stata così divisa come oggi. All’emergenza Coronavirus, al dramma che inizialmente ha riguardato solo l’Italia si è risposto dapprima con sorrisetti, incredulità, battute, poi quando la valanga ha invaso tutto e tutti si è passati alle frasi di circostanza, alla solidarietà becera delle belle parole, ognuno affronta da solo l’emergenza e salvo qualche aiuto spocchioso non c’è risposta univoca, non c’è anima.
Ognuno pensi per sé, ognuno paghi i propri conti e se per caso servono finanziamenti europei per far fronte ad una epidemia che non è solo morte e sofferenza, ma distruzione economica di un paese, di tanti paesi, allora ognuno pagherà comunque il salatissimo conto. Niente solidarietà, nessuna condivisione economica, i più deboli possono soccombere, ci penseranno i ricchi, i paesi ricchi a rifinanziare e a mettere le mani sui tesori e sulle eccellenze di chi non sarà in grado di fare fronte. Solidarietà, solidarietà come sempre a senso unico.
E il conto della Germania per i danni di guerra causati dal del secondo conflitto Mondiale? Per l’orrore dell’olocausto, per la riunificazione con i fratelli dell’Est? Chi ha pagato quei conti!
Nessun conto in comune per far fronte alla pandemia! Anzi si arriva addirittura alle minacce, come ha fatto ministro delle Finanze dei Paesi Bassi (Olanda) Wopke Hoekstra, che stando a quanto riferito dal quotidiano spagnolo El Pais, durante l’ultimo Consiglio Europeo avrebbe chiesto alla Commissione di avviare un’indagine su alcuni Paesi che dicono di non avere margini economici per affrontare l’emergenza Coronavirus nonostante l’area dell’euro risulti in crescita da sette anni. Il riferimento a Italia e Spagna è fin troppo chiaro. Roma e Madrid, infatti sono in prima fila, assieme alla Francia, in quel “gruppo dei nove” (ma che ora sta crescendo) che sostengono la necessità degli eurobond per fronteggiare l’emergenza determinata dal Covid-19.
Nulla di fatto, l’Europa non sembra avere alcuna intenzione di marciare unita, di mettere in campo tutto ciò che è necessario per fronteggiare una delle crisi umane, sociali ed economiche più gravi dell’ultimo secolo, niente solidarietà, niente unione, niente Europa. E di fronte al fallimento, o a quello che ancora appare l’ennesima chiamata alle armi alla quale l’Europa unita è incapace di rispondere risuonano come monito le parole del presidente Sergio Mattarella all’indomani del fallimento del Consiglio Europeo: «Sono indispensabili ulteriori iniziative comuni, superando vecchi schemi ormai fuori dalla realtà delle drammatiche condizioni in cui si trova il nostro Continente. Mi auguro che tutti comprendano appieno, prima che sia troppo tardi, la gravità della minaccia per l’Europa. La solidarietà non è soltanto richiesta dai valori dell’Unione ma è anche nel comune interesse».
E allora, di fronte a questa Europa di Azzecca-garbugli e Don Abbondio, il pensiero, sia dei fedeli che dei non credenti, non può che tornare in quella suggestiva piazza San Pietro deserta e bagnata dalla pioggia e alle parole del Pontefice: «Da settimane sembra che sia scesa la sera. Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante, che paralizza ogni cosa al suo passaggio: si sente nell’aria, si avverte nei gesti, lo dicono gli sguardi. Ci siamo ritrovati impauriti e smarriti. Come i discepoli del Vangelo siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa. Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca… ci siamo tutti». Anche se aggiungiamo noi di qualcuno si farebbe volentieri a meno!!!