Le brutte abitudini sono dure a morire. Anche in tempi di coronavirus. Anzi, nell’emergenza sanitaria che ha preso alla gola il paese c’è un proliferare di brutte abitudini. Capita così che mentre da una parte si vieta, dall’altra si lascia fare. Succede che la burocrazia, questa idra dalla molteplici teste di serpente, sembra non abbia altro scopo che rendere difficile se non impossibile lavorare a chi non chiede altro che regole chiare e valevoli per tutti.
È arrabbiata Mariastella Giorlandino, amministratrice unica dei centri clinici Artemisia Lab. Sono giorni che sta chiedendo a tutti, ministero della Salute, Regione Lazio– nelle persone del vice presidente di Giunta, Daniele Leodori e dell’assessore alla Sanità, Alessio D’Amato -indicazioni precise ed univoche rispetto alla possibilità o meno di fare nei centri clinici le analisi per la rilevazione della positività al Covid-19, e non ottiene risposta. Intanto però spiega la Giorlandino a Spraynews, «nei fatti sono molte le strutture sanitarie, private e accreditate, che nella Regione Lazio stanno procedendo in totale autonomia e senza nessuna linea di azione». Una situazione di anarchia che ha portato l’Anisap, l’associazione regionale delle istituzioni sanitarie ambulatoriali private a chiedere alla giunta Zingaretti di fare chiarezza con una parola definitiva.
Parola che è arrivata?
«Macchè! Al momento tutto tace. O meglio, l’altro giorno ho chiesto a Leodori se potevamo procedere con i test e lui per tutta risposta mi ha detto che no, non se ne parlava. Però sappiamo che sono parecchie le strutture che hanno intrapreso la verifica sierologica del virus, in regime assolutamente privato e dunque con i costi a totale carico dell’utente. Non vorrei che quello che ad alcuni è di fatto vietato per altri è benevolmente tollerato. Vorrebbe dire che chi vuole operare nel rispetto delle regole viene penalizzato e preso in giro».
A questo punto?
«Pretendiamo un risposta ufficiale e una parola definitiva. Se non ce la danno ci autodenunciamo ai Nas e domani cominciamo a fare le analisi anche noi. In assenza di specifiche indicazioni regionali l’attività a tutt’oggi non appare oggetto di divieto».
Perché è importante la possibilità di rivolgersi presso le strutture private per fare il test?
«Parliamo di un test rapido sul sangue che è attendibile al 98 per cento e può far emergere se la persona è contagiata, se ha avuto il coronavirus in forma asintomatica. Capisce bene quanto possa essere utile in termine di sicurezza e serenità all’interno di un nucleo familiare sapere se uno dei componenti è positivo al Covid o meno. Tanto più in quelle famiglie dove vi sono persone anziane o immunodepresse.
In altre parole chi si scoprisse positivo a seguito di questi test rapidi potrebbe subito mettere in atto misure di auto isolamento per salvaguardare il resto dei familiari. Non solo gli erogatori privati accreditati potrebbero coadiuvare il settore pubblico nel monitoraggio e nel controllo dei casi positivi sul territorio. Ma per essere davvero efficace questa mobilitazione dovrebbe avvenire con una linea di indicazione comune e uniforme e non lasciata all’iniziativa individuale. Perché altrimenti siamo all’anarchia. Questa mancanza di chiarezza è inspiegabile. Non si capisce questo silenzio della Regione Lazio. A chi giova? A Genova lo stanno facendo, in Puglia il testo è stato consentito, perché nel Lazio no?».
Dire una parola definitiva sul kit permetterebbe anche di fare chiarezza su quale è il costo giusto del test. Sembrerebbe che al momento vi sono strutture che arrivano a chiedere 150 euro. Prezzo giusto o esagerato?
«Assolutamente esagerato. Guardi il prezzo giusto è tra i 60 e gli 80 euro. In questa cifra ci sono il costo del kit, il compenso per il medico che lo esegue – perché è pacifico che a farlo deve essere un medico – e la strumentazione adeguata per operare in sicurezza. Il diritto alla salute è un diritto costituzionalmente riconosciuto. Se un cittadino vuole fare il test rapido non vedo perché gli debba essere negato. E lo deve poter fare ad un prezzo ragionevole ed equo».