I negozi sono chiusi. Anche la pasticceria è chiusa, ma c’è un ingresso aperto. Esce a sorpresa da quella porta aperta mentre le altre sono sprangate: «Sì, abbiamo ripreso a lavorare! Vede il cartello?». Come?! «Sì, abbiamo ripreso a lavorare, lei ci chiama al telefono e noi facciamo le consegne a domicilio!». Mi comunica la lieta novità il proprietario della mia pasticceria, a due passi da casa mia a Roma.
Faccio un po’ fatica ad ascoltarlo perché ha la mascherina sul volto come tutti i passanti, uomini e donne intenti a fare la spesa. Davanti ai supermercati ci sono lunghissime file di persone spaurite con la mascherina. Capisco e gioisco quando il pasticcere mi domanda: «Vuole una colomba? Vuole una pastiera napoletana?». Dico sì a tutto, così potrò festeggiare la Pasqua con i dolci di sempre anche se non sono quelli fatti dalle mie zie e da mia madre. Abito lontano da loro e non mi arrischio a prendere la macchina per andarle a trovare per due motivi: 1) c’è il pericolo di contagio del Coronavirus soprattutto per le persone anziane; 2) ci sono delle multe salate, da 400 a 3.000 euro, decise dai vari decreti del presidente del Consiglio Giuseppe Conte per gli incauti che guidano l’auto senza «un comprovato motivo» di urgenza (lavoro, spesa, medico).
Guardo i negozi chiusi, con rare eccezioni (alimentari, farmacie, tabaccai). Ringrazio, la notizia della colomba e della pastiera mi ha messo di buon umore. Preciso temendo una brutta figura: «L’uovo di Pasqua non mi serve, già ne ho comprato uno!». La risposta mi tranquillizza: «Non ne abbiamo. Dopo un fermo di un mese abbiamo ripreso a lavorare in tre. Ricominciamo piano piano, speriamo che questa tragedia passi in fretta. Certo la salute viene prima di tutto, ma qui la spese sono tante! È necessario riprendere a lavorare con tutte le cautele del caso!».
Sono rincuorato. Siamo reclusi in casa, io e mia moglie Laura, dall’11 marzo, da quando un decreto emanato da Conte chiuse tutti i negozi e le attività non essenziali per contenere la pandemia. Grazie al computer lavoriamo da casa. Meno male, così abbiamo una valvola di sfogo rispetto alla clausura forzata. Certo manca la libertà! Manca la vicinanza con le persone care, mancano i cibi normali dei tempi normali: una buona pizza napoletana, un gustoso gelato artigianale.
Andiamo a fare la spesa in un fruttivendolo, uno di quei rari negozi di una volta distrutti dai supermercati e rispuntati grazie ai lavoratori immigrati, e trovo un’altra bella sorpresa: il negozio chiuso di pizza a taglio ha riaperto. Il pizzaiolo, che è un artista di mille impasti leggeri e diversi, esce da una porta mentre dall’esterno della vetrina guardiamo il cartello che annuncia la riapertura.
A stento si controlla: «Ci hanno fatto chiudere inutilmente per tanto tempo! Non avevano capito nulla dei decreti del governo! Abbiamo riaperto e lavoriamo con le consegne a domicilio! Vuole la pizza? Ci telefoni!». Aggiunge: «Vendiamo anche olio e farina!». Ringraziamo e prendiamo il numero di telefono.
Mentre torniamo a casa arriva un’altra buona notizia. La serranda del nostro gelataio artigianale è sempre abbassata, il negozio è sempre chiuso ma è comparso un cartello che invita a telefonare: il gelato sarà consegnato a domicilio. Non avrei mai immaginato di provare tanta gioia per poter rimangiare una ottima pizza al taglio e un magnifico gelato! È certo un problema di palato, ma non si tratta solo di questo. C’è un’aria piacevole di ripresa primaverile a Roma; assieme alle incoraggianti notizie sulla discesa in tutta Italia della crescita dei nuovi contagiati, fa sperare nella fine dell’incubo Covid-19! Comunque la crisi economica per l’epidemia è gravissima, pesa. Per artigiani e commercianti le stime sono fosche: circa 25 mila negozi a Roma, non riuscendo nemmeno più a pagare l’affitto, rischiano il fallimento e la chiusura.