Giuseppe Conte l’ha promesso al personale sanitario. Il presidente del Consiglio parlando il 25 marzo alla Camera sulla tragedia del Coronavirus ha assicurato: «Non ci dimenticheremo di voi, di queste giornate così stressanti».
Parlare di «giornate così stressanti» è un eufemismo. I medici e gli infermieri nella guerra alla pandemia hanno dato cuore e anima. Anzi, molto di più: hanno sacrificato perfino la vita nella lotta contro il Covid-19 negli ospedali, negli ambulatori, nei laboratori. Sono morti oltre 100 medici e più di 30 infermieri nella guerra contro la pandemia. Sono rimasti contagiati oltre 13.500 operatori sanitari. E quelli guariti, appena si sono rimessi in piedi, con grande coraggio sono tornati al lavoro.
Medici e infermieri affrontano turni pesantissimi allungati anche a 12 ore al giorno pur di curare, di salvare preziose vite umane. Un impegno fortissimo, logorante sia sul piano fisico sia su quello psicologico. Rischiando tanto, talvolta tutto come quando, in alcuni casi, sono andati al fronte della guerra alla pandemia senza avere le necessarie attrezzature protettive: mascherine, guanti, tute, occhiali.
I cittadini l’hanno capito. Oltre ad uscire sui balconi delle città italiane per cantare tutti insieme alle 18, ad issare bandiere tricolori sulle case per reagire collettivamente all’incubo del Coronavirus, si sono affacciati alle finestre anche per battere la mani e ringraziare medici ed infermieri per il loro coraggio.
L’Emilia Romagna, una delle regioni più colpite dalla Coronavirus, ha voluto cominciare ad esprimere la propria riconoscenza ai camici bianchi. Il sottosegretario alla presidenza della giunta dell’Emilia Romagna, Davide Baruffi, ha annunciato un premio di 1.000 euro. Ha spiegato: «La misura più significativa che abbiamo messo in campo è un segnale concreto al personale sanitario, parasanitario e tecnico impegnato in prima linea». Ha aggiunto: si tratta di una somma una tantum, «ma vogliamo che arrivi immediatamente nelle loro tasche e riusciremo ad erogarli subito».
Sicuramente tutto il personale sanitario apprezzerà. Da anni la sanità pubblica è stata colpita da pesanti tagli finanziari in nome dei risparmi: sono stati chiusi molti ospedali nelle grandi città e nei piccoli centri, è stato bloccato il turnover di medici e infermieri. La riduzione degli organici è stata così drastica che alla fine del 2019 il Patto per la salute tra Stato e Regioni, oltre a nuove assunzioni, ha deciso anche di poter far lavorare i medici anziani fino a 70 anni e di prendere a tempo determinato pure gli specializzandi.
Già all’inizio dell’anno scorso le carenze di medici, ospedalieri e di famiglia, erano diventate esplosive. Luca Zaia aveva avuto perfino l’idea di chiamare medici pensionati per affrontare l’emergenza. Così il Veneto ma anche il Friuli Venezia Giulia e il Molise avevano stabilito di ricorrere all’assunzione di medici con i capelli bianchi, pieni di esperienza ma in pensione. Il Piemonte, invece, faceva ricorso perfino ai “medici in affitto”. Molti medici per anni hanno collezionato straordinari infiniti per assicurare ai cittadini almeno il minimo delle prestazioni sanitarie. Molti camici bianchi per anni erano finiti nel tritacarne del precariato: dei contratti a termine che, in alcuni casi, nemmeno venivano rinnovati negli ospedali per la mancanza di fondi, per i tagli piovuti sul Servizio Sanitario Nazionale.
La tragedia del Covid-19 ha evidenziato gli errori del passato: i tagli agli organici, agli investimenti in apparecchiature sanitarie, alle infrastrutture. Si tratta di tragici errori da non ripetere più. È emersa con chiarezza una verità lampante: un paese civile non può risparmiare sulla salute, un bene primario dei cittadini. E deve riconoscere la giusta retribuzione a medici e infermieri.