Il saluto di un nuovo direttore è un appuntamento che noi, malati di informazione, non ci possiamo permettere di perdere. Ma quello di Massimo Giannini su “La Stampa” mette qualche brivido lungo la schiena e alimenta presagi tristi.
Già siamo frastornati da una lunga segregazione imposta senza un perché chiaro (la scienza ancora non ci ha spiegato la vera natura del virus, il suo reale cammino, la sua potenzialità) e senza una visione politica, e leggere il titolo «Un giornale moderno e perbene» ha annullato quel poco di entusiasmo col quale ci si apprestava a vivere l‘ossimoro di questo 25 aprile.
Cosa vuol dire giornale «perbene»? Un giornale può essere «perbene»? A Torino chi si reca in edicola a comprare “La Stampa”, la chiama, con simpatia ed affetto «La Busiarda» (la bugiarda), perché sa che il suo compito è lavorare «per il bene» della famiglia dell’editore.
Giannini è stato onesto, lo ha ribadito sin dal primo giorno ed ha evitato di alimentare speranze. Ha scritto di laicità e modernità, di azionismo e di civismo, di senso dello Stato e dì fedeltà ai principi delle liberal-democrazie dell’Occidente. Del tessuto sociale di Torino e del Piemonte che si sgretola sotto il peso della crisi, di una classe media destinata a diventare povera, di una ondata di nuovi licenziamenti provocati dal ricatto di piccoli padroncini, e di altri temi ancora sintomo di un disagio profondo che sta paralizzando il vivere civile, non se ne parla.
Non è «perbene» parlarne. Meglio annegare nel grande mare delle soluzioni globali a problemi globali, prima di annunciare che il suo giornale lascerà l’edicola per cavalcare la rete. Questa si che è una grande impresa. Auguri sinceri.