Il Recovery Fund, ossia il Fondo per la ripresa economica approvato dall’ultimo Consiglio europeo è solo una dichiarazione d’intenti. Almeno fino al prossimo vertice dei capi di Stato e di governo, fissato per il 6 maggio prossimo, quando, forse, ne conosceremo il contenuto.
Per il momento, non sappiamo praticamente nulla. Di quanti soldi potrà disporre? Come verrà finanziato? Come verrà distribuito tra i Paesi dell’Ue? E – soprattutto – si tratterà di prestiti o di danaro a fondo perduto?
Il Fondo dovrebbe diventare la maggiore misura europea di sostegno agli stati nazionali per combattere la crisi economica provocata dal coronavirus. Il problema è che adesso, per chiarire i punti in sospeso e riempire la scatola, ci vorrà una nuova trattativa che consenta un compromesso tra i Paesi del Nord Europa (guidati dalla e quelli del Sud tra cui c’è l’Italia. Non sarà facile.
Non è un caso se al termine del Consiglio europeo del 23 aprile non è stato diffuso un comunicato. L’accordo è stato sintetizzato in poche parole dal presidente del Consiglio, Charles Michel, che ha dovuto mantenersi sul vago, visto che – al di là della decisione politica presa dal vertice, ossia quella di varare il Recovery Fund – non c’era molto da aggiungere: la sua dotazione sarà «di grandezza sufficiente, studiata per aiutare i settori e i paesi europei più colpiti, e si occuperà di gestire questa crisi senza precedenti». Più vago di così…
Come ha scritto il Financial Times, il Consiglio si è concluso con «più domande che risposte». In quanto i leader «non hanno trovato un accordo su come finanziare il Fondo, sulla sua entità, sullo strumento per versare i soldi agli Stati (prestiti o sussidi) e sulle modalità e i tempi dell’eventuale rimborso». Alla fine, si è deciso di dare due settimane di tempo alla Commissione Europea per mettere in piedi una proposta concreta da presentare entro il 6 maggio.
Bisognerà trovare un compromesso tra i paesi del Nord, secondo i quali il Fondo dovrebbe limitarsi a emettere dei prestiti, in modo da evitare che l’Unione Europea sia costretta a indebitarsi, e quelli del Sud che vorrebbero il contrario per non appesantire i loro disastrati bilanci facendo esplodere definitivamente i rispettivi deficit.
La presidente della Commissione, Ursula Von der Leyen, ha suggerito che il Fondo comprenda sia prestiti sia sussidi, aggiungendo che gli Stati dovranno accordarsi sull’equilibrio da trovare tra le due misure. Belle parole, perché per Paesi come l’Italia, farà parecchia differenza ricevere i soldi a fondo perduto o come prestito da restituire. Il negoziato si farà su questo.
Ma, al momento, per far fronte alla crisi economica, ci sono solo le misure prese nelle scorse settimane dalla Banca Centrale Europea, che non bastano nemmeno per far fronte all’emergenza del lockdown. Quindi, i singoli Paesi, ottenuta dall’Ue l’autorizzazione a contrarre altri debiti, stanno facendo più o meno da soli. A loro rischio e pericolo.
Naturalmente tutti i premier, a cominciare da Conte, hanno promesso soldi a tutti. Ma che differenza c’è tra parole e fatti? Tra le promesse e i fatti concreti per aiutare chi è stato messo sul lastrico dalla pandemia?
Il Fondo Monetario Internazionale ha appena fatto un’analisi sulle misure economiche di risposta alla crisi messe in campo dai singoli Paesi dell’Ue. Il metodo usato è stato quello di calcolare l’impatto sui conti pubblici dei provvedimenti realmente presi dall’inizio della pandemia ad oggi. Risultato: la Germania ha già prelevato dal bilancio dello Stato federale il 4,4 per cento del Pil, l’Olanda il 2,7 e la Finlandia l’1,7. Dei tre Paesi del Sud Europa esaminati, Italia e Spagna hanno prelevato l’1,2 per cento del loro Pil e la Francia solo lo 0,7 per cento. E così si capisce anche perché il popolo delle banlieue parigine è nuovamente sull’orlo di una rivolta.