Giuseppe Conte non piace a molti. In particolare non piace ai vescovi e a Repubblica. Non piace la “fase 2” decisa dal governo, il lento annullamento delle rigide restrizioni per combattere il Coronavirus in vigore dall’11 marzo. Il presidente del Consiglio ha illustrato la progressiva ripresa delle attività produttive e commerciali a partire dal 4 maggio: «Se vuoi bene all’Italia devi evitare la diffusione del contagio».
Tra i tanti divieti alle aggregazioni di persone, è restato anche lo stop alla messa. I vescovi italiani non l’hanno presa bene. In un comunicato stampa hanno annunciato «il disaccordo». La Cei ha strigliato Conte: «I vescovi italiani non possono accettare di vedere compromesso l’esercizio della libertà di culto». Un colpo pesantissimo per il cattolico Conte, il presidente del Consiglio che si professa devoto di padre Pio.
Un altro brutto colpo è arrivato da Maurizio Molinari. Il nuovo direttore di Repubblica nel suo editoriale d’insediamento ha sollecitato grandi riforme da realizzare dopo il cataclisma del Covid-19. Non ha citato né Conte né il governo giallo-rosso, ma ha puntato il dito contro i «ritardi e gli errori dovuti a una politica appesantita da rivalità personali, incapacità tecniche, resistenze burocratiche e forti spinte populiste». Molinari per ricostruire l’Italia indica tre necessità: 1) sanare le disuguaglianze economiche e sociali; 2) assicurare (soprattutto ai giovani) un lavoro qualificato nell’era digitale; 3) garantire una efficiente sanità (in particolare agli anziani).
Molinari sostiene la necessità di un ricambio politico: una democrazia avanzata può nascere dalle rovine della pandemia solo con «una nuova generazione di leader capaci di interpretare la impellenza della ricostruzione» ispirandosi alle sollecitazioni di Leonardo da Vinci «sull’urgenza del fare».
Certo il governo non brilla per efficienza e tempestività. La burocrazia frena tutto anche quando Conte predica rapidità: i piccoli imprenditori per avere 15 mila euro di prestiti devono presentare ben 19 documenti.
Molinari non è un giornalista qualsiasi. È diventato direttore di Repubblica dopo aver guidato La Stampa su decisione di John Elkann, il nuovo editore del secondo quotidiano italiano. Il presidente di Fiat Chrysler Automobiles ha comprato dalla famiglia De Benedetti tutto il gruppo Gedi: oltre a Repubblica, c’è La Stampa, Il Secolo XIX, l’Espresso, i quotidiani e le radio locali. Un vero impero dell’informazione che si somma all’Economist, il prestigioso giornale economico britannico sempre di proprietà della famiglia Agnelli-Elkann. Molinari, da Repubblica, l’ammiraglia del gruppo, ha scritto un manifesto politico più che un editoriale d’insediamento.
Conte ha annunciato: «Ci batteremo per cambiare in Ue e in Italia ciò che non va». Non è detto che resti in sella per poterlo fare.