È possibile far litigare il Papa con i vescovi? È difficile, ma si può. Giuseppe Conte è riuscito nella difficile impresa di mettere in rotta di collisione Papa Francesco e i vescovi italiani. Il presidente del Consiglio, per di più, c’è riuscito su un tema delicatissimo: la messa, il rito religioso centrale per la Chiesa cattolica.
I vescovi italiani sono insorti quando Conte, per evitare contagi da Coronavirus, ha confermato lo stop alla celebrazione della messa anche dopo il 4 maggio, cioè alla graduale ripresa delle attività previste dalla “fase due” in Italia. La Cei ha ufficializzato il suo disaccordo con un pesantissimo comunicato stampa: «I vescovi non possono accettare di vedere compromessa la libertà di culto». I vescovi sono stati sferzanti contro il presidente del Consiglio: la decisione del governo «è arbitraria».
Un colpo micidiale. Conte rischiava di crollare. Già doveva affrontare gli attacchi delle opposizioni, di parti importanti della sua stessa maggioranza (di volta in volta i renziani, i cinquestelle e i democratici), dei più vari settori economici messi al tappeto dalla pandemia (dai parrucchieri ai liberi professionisti, dai piccoli ai grandi imprenditori). La botta della Cei poteva risultare fatale.
Ma ha avuto la grazia. Il presidente del Consiglio ha schivato il pericolo. Secondo i ben informati ha telefonato a Papa Francesco per chiedere aiuto. E l’ha ottenuto. Jorge Mario Bergoglio ha scandito celebrando la messa in Vaticano: «Preghiamo il Signore, perché dia al suo popolo, a tutti noi, la grazia della prudenza e dell’obbedienza alle disposizioni perché la pandemia non torni». La Cei subito si è allineata.
Papa Francesco ha sedato la rivolta dei suoi vescovi. Ha salvato Conte. L’ha salvato, almeno per ora. Certo resta un problema. Giovanni Paolo II nell’Esortazione Apostolica “Pastores Gregis” dichiarò «l’Eucarestia al centro della vita e della missione del Vescovo, come di ogni sacerdote». Ma per ora la messa, e l’Eucarestia, sono sospese dal governo.