Sull’innovazione in campo sanitario Lino Renna, amministratore delegato di Biotecho srl, eccellenza pugliese nel campo delle biotecnologie, ci lavora da anni. E con risultati a dir poco lusinghieri. Nel 2016 la società di Molfetta ha ottenuto il Premio Innovazione S@lute 2016, con un progetto la cui sigla è “PoCT”, Point of care testing, che sta per test vicino al punto di cura.
Un’idea che ha contribuito a salvare la vita di tantissime persone infartuate. Per misurare se c’è un infarto in atto occorre infatti misurare nel sangue un enzima, la troponina cardiaca, solo che questo test prima veniva fatto al pronto soccorso con un allungamento dei tempi che in alcuni casi poteva rivelarsi fatale per il paziente. L’idea di Biotecho è stata quella di portare all’interno delle ambulanze e dei Punti di primo intervento territoriale, la possibilità di misurare la troponina nel sangue in modo da avere in tempi rapidissimi la valutazione più accurata dei sintoni dell’infarto. È un risultato di cui Renna va particolarmente fiero, «un passo in avanti verso una sanità più efficiente ed attenta».
Ritrovarsi al tavolo del protocollo Ripartenza ideato, assieme alla rete di Artemisia Lab, all’istituto di ricerca Dyrecta Lab e ad una equipe di professionisti formata da epidemiologi, anestetisti e ingegneri gestionali è stata quindi una cosa naturale. Una nuova sfida da affrontare e vincere per permettere alle aziende di gestire al meglio e con la massima sicurezza possibile la ripresa dell’attività produttiva. Quando lo cerchiamo al telefono Renna ha appena finito una “call” con i responsabili sanitari dell’ex Ilva di Taranto, che si sono detti molto interessati al protocollo per i loro dipendenti e per quelli dell’indotto.
Come e quando nasce l’idea del protocollo Ripartenza?
L’embrione del protocollo nasce alla fine di febbraio, con il Paese in piena pandemia. Ci siamo posti in quel momento il problema di affrontare la seconda fase di cui si stava appena cominciando a parlare. Il tema era come attrezzare le imprese alla riapertura delle attività lavorative, quindi non solo l’apertura in sicurezza delle attività e, quindi, dei dipendenti, ma anche come accompagnare questa protezione per un lungo tempo, almeno fino a quando non avremo un vaccino. Tenga conto che la forza lavoro in Italia, tra pubblico e privato, conta poco più di 23 milioni di persone, ovvero il 39 per cento della popolazione. Mettere in sicurezza loro vuol dire mettere in protezione le loro famiglie. Abbiamo iniziato a studiare il protocollo e per farlo nel gruppo di lavoro serviva un epidemiologo, la dottoressa Rosella Squicciarini. Serviva anche chi si occupasse di biotecnologie, e la Biotecho opera da più di venti anni in questa particolare branca della biologia, una azienda che gestisse e potesse elaborare i dati (la Dyrecta Lab, l’ente di ricerca privato che ha creato tutta la struttura informatica del sistema), un medico rianimatore che sa cosa significa gestire questa malattia, individuato nella persona del dottor Felice Spaccavento, e poi un ingegnere gestionale, Francesco Squicciarini, perché avevamo necessità di dare indicazioni anche ai datori di lavoro nel ridisegnare e rettificare il loro modello organizzativo. A questo gruppo si è aggiunta praticamente da subito Artemisia Lab. Come vede il nostro è stato un approccio multidisciplinare e trasversale, ma con un unico obiettivo.
Due imprese significative e all’avanguardia della provincia di Bari e una azienda romana, Artemsia Lab. Come nasce l’incontro con i centri diretti dall’architetto Maria Stella Giorlandino?
Quando ci siamo confrontati con Maurizio Galiano di Dyrecta Lab ricordo che lui mi ha detto che per portare avanti il progetto avevano bisogno di un partner che avesse una struttura ed una conoscenza ottima di tutti quelli che sono i sistemi di diagnostica ed è stato naturale rivolgerci ad Artemisia, una rispettabilissima organizzazione che ha messo il suo “bollino” qualitativo nell’idea. Artemisia Lab l’abbiamo contattata ai primi passi della vicenda, lanciando un’idea di progetto e pensando che potesse essere il nostro primo cliente, ma in realtà abbiamo scoperto subito che era il miglior partner che potessimo desiderare. Ed insieme abbiamo perfezionato e completato il protocollo. Da una idea è uscito un prodotto vero e proprio e Artemisia Lab in questo, con l’esperienza che ha, è stata fondamentale.
Qual è il contributo operativo di Biotecho nel protocollo?
Il nostro contributo è esattamente legato alla disponibilità ad individuare tecnologie di livello superiore, qualitativamente apprezzabili da un punto di vista di sensibilità, specificità e accuratezza dei dati che potessero produrre quello che è il parametro biochimico specifico. Tutti i dati che noi raccogliamo e che vanno nella piattaforma informatica sono parametri fisici – e sono la temperatura, la saturimetria, la frequenza cardiaca – e qui c’è della sensoristica che rileva questi esami – e poi c’è un’altra tipologia di parametri che sono quelli biochimici.
Parliamo cioè degli anticorpi?
Sì, gli anticorpi IgG e IgM specifici per il coronavirus: per semplificare mentre gli IgG ci dicono se la persona ha sviluppato anticorpi per un contatto avuto in passato con il virus, i secondi evidenziano se il virus è in corso. Io ho messo a disposizione una tecnologia sudcoreana, molto valida, che supera il concetto delle card, quei test rapidi che hanno dei grandissimi limiti. Noi proponiamo al contrario un analizzatore. In sostanza io metto il sangue intero da capillare su questa macchina, dove c’è un reattivo, e delego alla macchina l’esecuzione del test, producendo un valore, che è un valore semiquantitativo.
Ovvero?
Un valore cioè che mi dice se c’è o meno l’anticorpo e in che quantità è stato rilevato all’interno della goccia di sangue. Il contributo di Biotecho è stato quello di individuare sul mercato le migliori tecnologie che oggi abbiamo a disposizione per poter produrre dati biochimici. In questo caso gli anticorpi. Mi dice l’azienda produttrice, la Boditech Med Inc, che fra qualche settimana avremmo un ulteriore parametro che ci serve in questo disegno del protocollo Ripartenza, che è addirittura l’antigene del coronavirus. Si tratta di un dato in più per sapere a che punto della malattia io mi trovo. Non è il tampone, che va ad identificare il dna del coronavirus, è l’antigene, che è una reazione del nostro sistema immunitario, che produce antigeni ed anticorpi.
Che percentuale di precisione ha la macchina?
Il 100 per cento di sensibilità e il 96,7 per cento di specificità. Questo che cosa significa? Che i negativi sono veramente negativi e ci potrebbero essere, come tutti i sistemi di screening, dei positivi che vanno confermati. Ma l’importante è che i sistemi non diano falsi negativi, che sono quelli che possono contaminare altre persone e che vanno sempre confermati.
Il protocollo Ripartenza, mi passi il termine, si propone di andare a stanare gli asintomatici?
Sì, gli asintomatici, quelli che sono venuti a contatto con il virus e non manifestano nessun sintomo della malattia, e i paucisintomatici, quei pazienti cioè che presentano sintomi molto modesti, come un po’ di tosse, un senso di stanchezza, mal di testa o una febbricola al di sotto di 37,5, quei sintomi che appunto rischiano di passare inosservati. Con questo screening se ci sono gli IgG li vai ad individuare.
Questo protocollo oltre le classiche aziende può interessare anche il mondo dello Sport?
Per quanto riguarda i lavoratori delle fabbriche, oltre ai termo scanner posizionati all’ingresso dei luoghi di lavoro, noi diamo degli orologi che rilevano i dati fisici, temperatura, saturazione e frequenza cardiaca, orologi che dialogano con il sistema informatico. Per gli sportivi invece abbiamo un prodotto di una azienda italiana, la ComfTech, che produce maglie con la sensoristica immessa nel tessuto, che viene attualmente utilizzata dai piloti di Formula 1. Questa tecnologia noi la proponiamo per i giocatori durante allenamenti e partite.
Già, ma tutti gli altri che entrano in contatto con i giocatori? Anche loro vanno monitorati?
Certamente. È ovvio, affinché il protocollo funzioni davvero, che dobbiamo monitorare non soltanto gli atleti, ma tutto lo staff che ruota intorno alla squadra. Per semplificare, anche il custode dello stadio, deve essere seguito. A queste persone noi possiamo fornire l’orologio. Il monitoraggio deve, insomma, essere fatto in maniera diversa ma uguale sia sul fuoriclasse sia su chi apre gli spogliatoi. Abbiamo presentato delle proposte e abbiamo riscontrato che c’è molto interesse, ma per ora altro non le posso dire.
Quando siete pronti a partire?
Da oggi stesso, tutto è pronto ed integrato e funzionante. In settimana l’Università degli studi di Roma “Tor Vergata” validerà i test sierologici. Per contrastare il coronavirus servono professionalità trasversali e posso dire con una punta di orgoglio che noi ce le abbiamo. Abbiamo creato una rete che intende catturare il virus e condurre il paese verso la normalità. Il protocollo Ripartenza geolocalizza la patologia. Non abbiamo bisogno di tracciare le persone, dobbiamo tracciare la patologia e soprattutto vedere, attraverso una lettura dinamica dei dati, che evoluzione ci può essere.