E se la corruzione che ha riempito per mesi pagine e pagine di giornali, creato fermento su radio talk show, sostanzialmente indotto un terremoto tra le toghe non fosse mai esistita? Se questa presunta descritta corruzione fosse solo la proiezione onirica funzionale ai desiderata di qualcuno?
Non c’è stato alcun appiglio, nel nuovo modello del giustizialismo un tanto al chilo, per mantenere in vita l’accusa di corruzione al pm Luca Palamara, forse finito alla gogna perché magistrato troppo esperto e troppo di lungo corso e forse perché di troppa memoria.
Nonostante la Procura di Perugia abbia speso centinaia di migliaia di euro per costosissime intercettazioni e per avanzatissimi trojan da installare nei cellulari – contravvenendo anche all’uso concesso intercettando anche soggetti che non sarebbero potuti finire per nessuna ragione ascoltati – non c’è stato nulla da fare e, alla fine, i colleghi perugini sono stati costretti a far cadere l’accusa di corruzione per l’ex membro del Csm ed esponente della corrente Unicost.
In un assordante e vergognoso silenzio, senza lo scalpore mediatico del mostro sbattuto in prima pagina con intercettazioni fiume in cui si fa più gossip che intercettazioni. Solo un articolo del Corriere della Sera, che si perde nelle pagine di chi ancora pubblica conversazioni, l’Unica quella tra Palamara e il procuratore di Viterbo, Paolo Auriemma, in merito a un’inchiesta contro Matteo Salvini e i migranti, un’indagine trappola da fare a tutti i costi.
Alla stampa, si sa, non è mai piaciuto scagionare chi è stato fatto fuori per via mediatica più che giudiziaria pur non avendo fatto niente e allora magari si mette un box piccolo piccolo discreto discreto a ridosso delle ultime pagine di cronaca, quasi negli spettacoli, perché dispiace a chi vive di invidia sociale che un magistrato indagato non abbia pagato o a chi ha innescato la miccia non godersi il bagliore della esplosione. Non importa, gli onori della cronaca è meglio riservarli agli assassini o ai morti, ai politici corrotti purché siano della fazione giusta.
Luca Palamara non ha bisogno di pagine e di salamelecchi, Palamara si è sempre distinto per quello che è: sa difendersi da solo. Lo ha detto all’AdnKronos poche ore fa: «L’accusa di aver preso 40.000 euro per una nomina al Csm costituiva per me la più grave infamia. Quando i giornali pubblicarono incessantemente questa notizia i miei figli mi chiesero una cosa sola: dimostrargli che non era vero. Oggi questa accusa è caduta. Lo dovevo a loro».
È dedicato ai suoi cari l’accertamento della verità, Palamara può camminare a testa alta perché era una psicosi e non un fatto realmente accaduto l’ipotesi che l’ex membro del Csm avesse preso denaro dagli avvocati Giuseppe Calafiore e Piero Amara per favorire la nomina dell’allora pm di Siracusa, Giancarlo Longo, a procuratore di Gela, nomina peraltro non andata in porto. E oggi viene da chiedersi: quindi questa inchiesta perché è partita? Chi è il deus ex machina? Su quali basi? Qual è la qualità delle prove che un magistrato utilizza per iscrivere chiunque nel registro degli indagati?
Tanto più che in un sistema di giustizia che si rispetti, come ad esempio il modello statunitense, l’onere della prova spetta all’accusa, è l’accusatore che avvia un’indagine se ha delle carte in mano. Dobbiamo forse supporre che in Italia si aprano fascicoli per sentito dire, per una frase intercettata in un contesto molto più ampio che può voler dire tutto o niente? E giù valanghe di fango, tanto poi spetta al malcapitato finito nel gorgo, dimenarsi per non affogare, difendersi e dimostrare che non era vero nulla. Ma intanto molte persone vengono annientate da questo meccanismo perverso, vedono la propria vita stravolta, la dignità infangata.
In un sistema giustizialista Made 5 stelle, quale è quello concepito e quasi applicato dal ministro di Giustizia Bonafede, qual è il confine tra l’essere umano e la professione o il ruolo che svolge? A quando si arriverà a sanzionare un magistrato che va a cena con un giocatore di calcio, con un giornalista o con un avvocato? A quando si proibiranno fidanzamenti e matrimoni misti?
Adesso si che siamo alle comiche finali. E non riguarda un partito ma tutto il Paese coi suoi sistemi autoreferenziali, chiusi e senza merito. Credo che siamo davvero arrivati a un bivio: o si apre a tutto tondo Togopoli – ma siamo sicuri che ci sia da augurarselo dopo il sisma causato da Tangentopoli, che sappiamo bene com’è finita, ovvero senza più una classe dirigente adeguata e senza autonomia per il nostro Paese rispetto ai Paesi esteri? – oppure si riparte da zero e si riabilitano tutti gli attori di questa triste vicenda, tutti trasversalmente, da quelli che hanno preso le distanze, quelli che sono scappati, quelli che hanno messo la testa sotto la sabbia, quelli che hanno cancellato dalla propria rubrica telefonica i cellulari scomodi, trasversalmente a tutte le correnti, – massacrati e NON massacrati perché ancora rimasti occulti – in questi mesi senza che vi sia una base solida nelle accuse.
Perché in questo gioco tutti hanno giocato e allora o si rade al suolo tutto il sistema o si prende atto che è sbagliato fare una sciagurata caccia alle streghe basata su altre motivazioni che di morale hanno ben poco. C’è da domandarsi, in realtà, a chi dava davvero fastidio una magistratura autonoma, il perché di questo clamore proprio alla vigilia del cambio su Roma e quali segreti si celano dietro questa inchiesta. Le risposte forse non saranno mai messe nere su bianco, ma evitare che Roma bruci sarebbe già un gran bel risultato, politico e istituzionale. Ci auguriamo che prevalgano responsabilità buon senso e amore per il nostro Paese.