Non c’è giornale (e telegiornale), di destra, centro, sinistra, privato, pubblico, europeista o sovranista, del nord, del centro, del sud, nazionale o locale che sia, che non informi – con documentata e abbondante prova fotografica o filmica – che in questo fine settimana ci si è abbandonati pressoché ovunque, senza distinzione geografica, a ogni sorta di violazione possibile delle elementari norme per scongiurare il contagio Covid-19.
Un improvviso “impazzimento” che coinvolge donne e uomini, ragazzini, mezza età e “over”. Irrefrenabile, ovunque l’esigenza di “aggrumarsi” in lembi di spiaggia, in parchi, prati, di transitare strade strette, fare branco in microscopici tavolini, bere dagli stessi bicchieri, fumarsi in faccia reciprocamente, stringersi mani, sbaciucchiamenti esibiti come straordinaria prova di affetto e stabile congiunzione.
Improvvisa, anche, una esigenza di “fede”, da esibire in luoghi sacri, smarrito l’evangelico ammonimento a non mettersi in mostra, da farisei e pubblicani. Irrefrenabile il moto di sbellicarsi le mani al passaggio di una bara: quasi a volersi congratulare per il fatto che il poveretto se ne sia andato. Non paghi, ecco che s’immortalano queste esibizioni collettive con una quantità di selfie: è da credere che si passeranno i prossimi mesi a mostrare compiaciuti quelle immagini ad amici e conoscenti: io c’ero, quando è passata la bara; il politico che mi stringe la mano, vedi, anche lui come me a far la movida in spiaggia…
Spontanea la domanda: che fine hanno fatto le italiane e gli italiani, seri, responsabili, coscienti: quelli che “obbedienti” facevano pazienti la fila davanti ai pochi negozi di alimentari aperti; che si auto-segregavano in casa, il massimo dello svago, un vecchio film in TV, un po’ di sole in terrazza, un libro mai letto? Che dediti allo smart working (chissà perché “intelligente”; chi deve per forza uscire, fa un lavoro “stupido”?); che fine hanno fatto gli italiani che pur di indossare una mascherina e un paio di guanti erano disposti a sborsare decine di euri al mercato nero, oppure se la fabbricavano fantasiosamente a casa?
Che fine hanno fatto gli italiani che si rincuoravano l’un l’altro dicendo che “andrà tutto bene”, sapendo perfettamente che non era vero, e che sarebbe invece stata lunga, faticosa, dura; e che ci sarebbe voluta tutta la pazienza e la coscienza di cui si disponeva? Che fine hanno fatto quanti ci dicevano: «Siamo come in guerra, stringiamo i denti»; quelli commossi che piangevano al pensiero di medici, infermieri che si ammazzavano di fatica, e spesso di virus contratto; dimenticato il dolore per i tanti morti malamente, tra tormenti, e in solitudine… Che fine hanno fatto quegli italiani? Dove sono finiti? Ci sono ancora? Ci sono mai stati? Come canta Peppino Fiorelli in “Simme ‘e Napule, paisà”, «…Chi ha avuto, ha avuto, e chi ha dato ha dato»?
Improvvisamente siamo tutti impazziti, che ci scoppia il cervello se non si va tutti insieme appassionatamente, a far lo struscio ai Navigli di Milano o a piazza Trilussa a Roma?
Dove sono oggi gli italiani responsabili e consapevoli di ieri? E dov’erano ieri gli idioti irresponsabili di oggi? Sono sempre gli stessi, in una assurda parodia pirandelliana dell’uno nessuno centomila? Oppure?