Vola basso il premier Conte nell’ultima conferenza stampa a reti unificate. Annuncia un non meglio identificato “piano di rilancio” da concordare con opposizioni e parti sociali. Accenna a riforme di cui gli italiani sentono parlare da anni: taglio della burocrazia, riduzione delle tasse, digitalizzazione e via enumerando.
La scelta del basso profilo fatta dal capo del governo nasce dal calo del consenso, dal fatto che gli aiuti promessi sono rimasti per lo più sulla carta, con migliaia di imprenditori e decine di migliaia di famiglie che non hanno ancora visto un euro. Ragion per cui la Confindustria attacca Palazzo Chigi. E Conte, il primo maggio su Facebook, replica chiedendo «scusa a nome del governo» per i ritardi.
Ma i problemi del Paese sono enormi e non possono essere risolti da un post di scuse. Perché i soldi arrivano con il contagocce, la burocrazia avvolge qualsiasi decreto nella sua paralizzante ragnatela, molti ministri vanno per conto loro e i presidenti delle Regioni affrontano la riapertura in ordine sparso.
Da parte sua, il segretario della Lega, Salvini, si presenta alla manifestazione della destra ignorando le più elementari misure di distanziamento sociale. Assistiamo perfino alla riesumazione del generale Pappalardo, che riappare alla guida dei “gilet arancioni” di casa nostra per gridare a pieni polmoni: «La pandemia è una boiata». Naturalmente sono quasi tutti rigorosamente senza mascherina. Intanto il presidente della Repubblica Mattarella continua, inascoltato, a lanciare appelli al senso di responsabilità e all’unità in nome del bene comune.
Regna una grande confusione sotto il cielo italiano, una confusione che si spiega soprattutto con l’inadeguatezza dell’attuale classe politica. Tutta: maggioranza e opposizione. Potere centrale e poteri locali.
Nella vituperata Prima Repubblica c’erano i Moro, i Craxi, i Berlinguer. Adesso abbiamo Zingaretti, Salvini e Giorgia Meloni. Il Movimento Cinquestelle, che esprime ancora oggi la maggiore forza parlamentare del Paese, non si sa nemmeno a chi faccia capo. Il fondatore, Grillo, è sparito dai radar. Di Maio non è più “capo politico” e non si capisce che ruolo abbia nel Movimento. Esattamente come il “facente funzione” Vito Crimi.
Poi c’è Renzi. Nel corso di una sola legislatura, è riuscito a dilapidare un patrimonio politico che nel centrosinistra della Seconda Repubblica nessuno aveva mai avuto nelle mani. Adesso guida un partitino (Italia Viva) che non riesce a schiodarsi dal tre per cento anche se tiene sulla corda il governo.
Musica per le orecchie dell’inossidabile Berlusconi. Con un partito in via di estinzione, ma ancora con una pattuglia di parlamentari in grado di tenere in vita il governo, il Cavaliere ha già offerto la sua ciambella di salvataggio. Dulcis in fundo, Giuseppe Conte, presidente del Consiglio “nominato” e – quindi – senza legittimazione elettorale.
E se è vero che è riuscito a guidare due governi con due maggioranze opposte, è altrettanto vero che in Europa il suo peso politico è molto, ma molto relativo. Perché nei vertici dei capi di Stato e di governo, in cui si decidono le sorti di un’Italia in piena crisi economica, deve confrontarsi con “colleghi” legittimati da un voto popolare e anche con qualche leader vero.
A cominciare da Angela Merkel, la Cancelliera tedesca che ha deciso di giocarsi la storica partita degli Eurobond nonostante le molte resistenze esterne e anche interne. Perché sa di poter contare sulla sua forza politica e personale e – soprattutto – sulla fiducia e sul consenso della maggioranza dei tedeschi. A questo punto il confronto tra la situazione tedesca e quella italiana risulta umiliante. Perché a Roma non c’è nessun politico in grado di gestire il dopo-pandemia e il Paese appare ormai in stato confusionale. Il grande problema italiano è che non ha un vero leader. Deve cercarlo alla svelta. Disperatamente…