Lo ha detto Papa Francesco lo scorso 27 marzo quando, in una piazza San Pietro desolata e deserta, pregò per l’umanità aggredita da un nuovo sconosciuto e insidiosissimo virus: «Siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa… Ci siamo trovati su una stessa barca fragili e disorientati. Chiamati a remare insieme e a confortarci a vicenda. Su questa barca ci siamo tutti».
Lo ha ribadito il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella nel suo messaggio del 5 marzo in occasione dalle Giornata dell’Ambiente, la prima dopo la pandemia: «Le recenti drammatiche vicende che toccano tutto il nostro pianeta ci impongono di prendere atto del legame imprescindibile che esiste tra l’equilibrio della natura e la nostra sopravvivenza».
Ora, nel momento in cui la pandemia sembra allentare la presa e confortati dai numeri tiriamo un primo timido sospiro di sollievo, diventa necessario tentare un primo bilancio su quanto è accaduto e rispondere ad un’angosciosa domanda che abbiamo rimosso durante il lockdown, tutti presi dalla necessità di organizzarci per sfuggire al contagio.
Quanto l’uomo è responsabile delle centinaia di migliaia di morti che si contano sull’intero pianeta? È stata la violazione dell’habitat naturale di alcune specie selvatiche ad aver provocato il salto di specie dai pipistrelli, passando poi dai pangolini (o chissà quale altro inconsapevole animale) a noi? Sì il virus è proprio da lì che proviene. I virologi ce lo hanno spiegato, è un fenomeno già noto agli scienziati. Nei lunghi giorni trascorsi barricati in casa molti hanno letto o riletto il libro del 2012 di David Qammen Spillover. «Siamo stati noi a generare l’epidemia di Coronavirus – ha dichiarato l’autore al New York Times – potrebbe essere iniziata da un pipistrello in una grotta, ma è stata l’attività umana a scatenarla».
Ora che lo abbiamo capito però servono idee e progetti per ripartire nel rispetto della Terra. Ma come? Prova a dare una soluzione una virologa che abbiano imparato a conoscere nelle lunghe serate davanti alla tv.
Ilaria Capua ha scritto per Mondadori: Il Dopo, un libro in cui, con chiarezza e semplicità descrive il virus «che ci ha costretto a cambiare mappa mentale». «Passare dal considerarsi delle monadi al rendersi conto di essere non solo parte di una comunità, ma responsabili per essa, è un salto in alto. Molto in alto – scrive la dottoressa – Ma è ciò che farà la differenza». Una volta usciti dall’emergenza sarà necessario «stabilire criteri e linee guida non solo per il conteggio dei contagiati, ma anche per la comunicazione in caso di pandemia».
Questo anche nel malaugurato caso di una non ineluttabile seconda ondata. Scrive Ilaria Capua: «Quando ci troviamo di fronte a situazioni emergenziali è essenziale sapere come muoversi ed è opportuno prepararsi. È così che la gente non muore». Sarà poi opportuno ripensare la salute pubblica «a livello globale, sovranazionale, collettivo e individuale» condividendo “le sequenze genetiche” per consentire alla comunità scientifica di poter meglio comprendere «l’evoluzione molecolare e l’epidemiologia di ciascun ceppo». Dobbiamo fare i conti con una nuova normalità in cui «un uomo di 38 anni che vive a Codogno, nel lodigiano, è connesso con un pipistrello che svolazza in una foresta asiatica, in cui il benessere del primo ministro inglese dipende direttamente da quanto la biodiversità del globo è stata erosa». È tutto correlato «l’emergere di agenti patogeni sconosciuti ha a che fare con il riscaldamento globale e la perdita di biodiversità».
Una nuova consapevolezza è dunque indispensabile senza dimenticare mai di farci questa domanda, sembra suggerirci la dottoressa con il suo sorriso contagioso: «Non sarà che Madre Natura avrà voluto dirci qualcosa con questa sorta di enorme, potentissimo starnuto allergico?».