«Le autorità hanno prorogato di altri dieci giorni la riapertura» totale nell’area metropolitana di Lisbona. Semplice, chiaro e conciso, il comunicato del governo portoghese è stato pubblicato dai giornali senza commenti e – soprattutto – senza polemiche. Come un fatto assolutamente normale.
L’opposizione non ha trovato nulla da eccepire e il governo non ha dovuto aggiungere spiegazioni. Sono bastati gli ultimi dati del Coronavirus in Portogallo, dove i nuovi casi di contagio sono pochi, ma comunque concentrati attorno alla capitale.
Le autorità hanno quindi deciso di rinviare di altri dieci giorni la riapertura totale nella «regione di Lisbona e della Valle del Tejo», dove i centri commerciali e i negozi con una superficie maggiore di 400 metri quadrati resteranno chiusi fino al 15 giugno. Data che – come ha spiegato il premier Antonio Costa – potrebbe comunque essere ulteriormente rinviata. Dipenderà tutto dai prossimi dati sui contagi raccolti dal ministero della Salute.
Semplice e chiaro, come si usa in un Paese “normale”, dove “le autorità”, possono decidere perfino di passare dalla riapertura totale a quella differenziata. Sulla base dei dati, naturalmente. Questo accade in Portogallo, dove, a differenza dell’Italia chi governa può farlo sul serio.
Tanto per fare un esempio, mentre l’Austria ha potuto impunemente chiudere la frontiera con l’Italia, la Spagna non è riuscita fare la stessa cosa con il Portogallo. Ci aveva provato, spostando la riapertura della frontiera dal primo al 22 giugno. Ma è bastata una semplice telefonata del premier Costa, «sorpreso per la decisione unilaterale», per costringere Madrid a tornare sui passi e a ripristinare la riapertura al primo giugno.