Il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri ha le idee chiare, occorre darne atto. Il problema carcerario in Italia? Finalmente c’è una possibile soluzione. È sommariamente, ma precisamente enunciata nel corso di un’intervista rilasciata a Il Fatto del 14 giugno: «È arrivato il momento di avviare la costruzione di nuove carceri».
Si deve ammettere che la cosa si fa interessante. In concreto, dottor Gratteri?
«Nella fase post-coronavirus si stanno mettendo a disposizione molte risorse per l’economia, per le infrastrutture…».
Gerundio, ma non è il caso di formalizzarsi. Dunque, queste “molte risorse”?
«Ci sono soldi che ieri non c’erano».
Dall’ipotetico gerundio sia passa all’affermativo presente indicativo. Quindi?
«Questo è il momento di costruire quattro nuove carceri in Italia, distribuite tra Nord, Centro e Sud…».
Giusto: quattro carceri distribuite sul territorio…Poi?
«Per 20mila posti».
20mila posti diviso quattro, ogni carcere 5mila detenuti…
«Sarebbe la fine del sovraffollamento carcerario…».
Quattro carceri per 5mila detenuti l’uno ed è la fine del sovraffollamento. Oibò! Ideona!
«Potremmo cogliere ora l’occasione per risolvere il problema per i prossimi 20-30 anni…».
Doppio oibò: quattro carceri da 5mila detenuti l’una, e non ci si si pensa più per un quarto di secolo…
«Basta un solo progetto da replicare quattro volte in quattro luoghi geografici diversi».
Ecco: carceri fotocopia. A prescindere dalla conformazione dei territori, dalle vie di comunicazione, dai centri abitati… un unico progetto buono per tutti…
«Pensi che a New York c’è un carcere con 18mila posti, a Miami di 7mila…».
Ah! Questi americani… un modello da seguire, quello delle loro carceri…
«Sto indicando un modello d’infrastruttura, non un regime carcerario, quello americano, da assumere come modello».
Certo: infrastruttura, non regime…
«In Italia abbiamo tanti piccoli istituti da 100, 150 posti, con costi fissi altissimi e pochi detenuti…».
Chiudere i “piccoli” e mettere tanti “piccoli” nei “grandi”…
«Dovremmo costruire strutture più grandi ed efficienti, sempre garantendo la finalità rieducativa della pena”.
Quindi non solo celle, ma anche laboratori, luoghi di insegnamento, apprendimento…
«Risolveremo il problema del sovraffollamento che sta tanto a cuore all’Europa, che si ricorda dell’Italia per il sovraffollamento, ma non per contrastare adeguatamente le organizzazioni mafiose presenti fuori dall’Italia…».
Precisamente: quattro grandi carceri da aprire, le piccole da chiudere, e il sovraffollamento è risolto. Perché non ci si è pensato prima?
«Dovremmo adottare per i detenuti lo stesso metodo di recupero che si usa per i tossicodipendenti, con ore di lavoro e sedute di psicoterapia. Invece in tante carceri italiane i detenuti stanno otto ore davanti al televisore».
Il virgolettato è parte di una lunga risposta del dottor Gratteri a un’intervista rilasciata a Gianni Barbacetto. Una lunga risposta spezzettata con battutelle di chi scrive, giusto per cercare di sottolineare i passaggi di un “pensiero” evidentemente in libertà.
Ma la cosa è seria: il dottor Gratteri dove pensa di individuare quattro grandi macro-aree per le sue ipotizzate maxi-carceri? Si parla di aree molto vaste, non solo di celle, ma in grado di ospitare adeguatamente la non meno maxi-comunità penitenziaria che il maxi-carcere comporta: agenti di polizia penitenziaria, strutture amministrative, mense, laboratori, luoghi per il lavoro e le sedute di psicoterapia…
Il dottor Gratteri pensa davvero che si aprono i “maxi” e si chiudono i “mini”? A questo punto il problema del sovraffollamento rimane inalterato. Per capirci: 500 più 500 fa 1.000. Ma anche 100 ripetuto dieci volte, fa sempre 1.000. Per ridurre il sovraffollamento, dunque, occorre tenere aperto il “vecchio” e unirlo al “nuovo”.
Un maxi-carcere di 20mila persone avrà necessità di personale in misura corrispondente. Dove attingere le risorse umane ed economiche?
Di obiezioni nel merito e nel concreto se ne possono fare ancora tante. Al dottor Gratteri si regala un vecchio intercalare milanese: «Ofelè fa el to mesté!». Lui è calabrese, ma sicuramente non avrà difficoltà a capire che cosa si cerca di dirgli.