«Nessun assegno in bianco» per la Tap. Parla a muso duro il socialista Nuno Santos, ministro delle Infrastrutture portoghese. Ha ingaggiato un vero e proprio braccio di ferro con gli azionisti privati della compagnia nazionale di bandiera.
Se vogliono i soldi dello Stato per evitare il fallimento della società messa in ginocchio dal Coronavirus – dice chiaro e tondo Santos – devono accettare le condizioni imposte dal governo portoghese. Che «esige il controllo» su tutto: «rotte, cassa, dipendenti». Insomma, la ristrutturazione e la gestione della Tap adesso devono passare all’azionista pubblico. Secondo l’antico detto: «Chi paga i suonatori impone anche la musica».
Per non lasciare dubbi sul fatto che intende andare fino il fondo, il ministro ha anche indicato la cifra dell’assegno che il governo è pronto a firmare per salvare la Tap: un miliardo e 200 milioni di euro, già inseriti nel bilancio supplementare dello Stato (fresco di stampa) e che attendono solo il via libera di Bruxelles. Un semaforo verde su cui ovviamente non ci sono dubbi, visti i precedenti del governo francese e di quello tedesco che stanno finanziando Air France e Lufthansa a suon di miliardi.
A questo punto conclude il ministro portoghese, «manca solo il sì degli azionisti» che devono decidere se accettare le condizioni imposte dallo Stato o portare i conti in Tribunale per il fallimento. Si tratta di una posizione chiara, frutto di un’analisi economico-politica che pochi giorni fa è stata spiegata dal presidente del Consiglio Antonio Costa, nel corso di una conferenza stampa: la Tap è «un’azienda strategica» per il Portogallo e per questo motivo il governo è pronto a salvarla dal fallimento. Ma la gestione che fino ad oggi è stata in mano privata, deve passare allo Stato che mette i soldi e perciò, nell’interesse pubblico, deve assumere i poteri che in una società per azioni spettano a chi ha la maggioranza.
Se il governo portoghese ha deciso di mettersi alla cloche della Tap e di pilotarla lungo una certa rotta, quello italiano continua a starsene in cabina. Una cabina affollata di commissari, consulenti, esperti. Con la ministra dei Trasporti che ha appena convocato un altro tavolo tecnico in vista del Consiglio dei ministri che dovrebbe dare «via libera al decollo» della nuova società pubblica e all’ennesimo tentativo di «salvataggio».
Per il momento Palazzo Chigi fa sapere solo che la compagnia di bandiera avrà 105 aerei e potrà contare su circa tre miliardi di euro. Ancora non è dato sapere se si aggiungeranno al miliardo e mezzo circa bruciato dall’ultimo fallimento dell’Alitalia, fallimento dal 2017 ad oggi. Durante i tre interminabili anni di un commissariamento che non è servito a nulla.