«Non un centesimo all’Italia». Mark Rutte ha trattato al consiglio europeo straordinario con il fiato sul collo dell’opposizione sovranista olandese. Così il primo ministro dei Paesi Bassi è diventato il capo dei cosiddetti “paesi frugali” del nord Europa contrari ai sussidi post Covid-19 ai paesi più colpiti dalla pandemia, cioè i mediterranei.
Il liberale Rutte ha indossato i panni del sovranista morbido per contrastare i sovranisti duri di destra che puntano a sbancare nelle prossime elezioni politiche di primavera in Olanda. La rottura dell’Europa è stata evitata per un soffio all’alba di martedì 21 luglio. Il sofferto accordo sul Fondo per la ripresa, il Recovery Fund, è arrivato all’ultimo minuto utile. Il consiglio europeo a Bruxelles, il primo dallo scoppio del Coronavirus, è durato più del doppio del previsto.
La “guerra” Nord-Sud è durata ben cinque giorni. Dopo scontri, riunioni, contatti, incontri plenari e ristretti è arrivata la mediazione al consiglio europeo: i 500 miliardi di euro di sussidi a fondo perduto proposti dalla commissione europea per i paesi più colpiti dalla pandemia sono scesi a 390, i prestiti sono saliti da 250 a 360 miliardi. In tutto 750 miliardi. All’Italia andrebbero 208,8 miliardi; 81,4 di sovvenzioni e 127,4 di prestiti. Un po’ meno del previsto. I cosiddetti “paesi frugali” (Paesi Bassi, Austria, Svezia, Danimarca, Finlandia) hanno messo da parte i secchi no alle sovvenzioni e spuntato degli “sconti” sui contributi europei.
Angela Merkel ce l’ha fatta. La cancelliera tedesca ha avuto un ruolo centrale: ha mediato tra le nazioni forti del Nord e quelle deboli del Sud (Italia, Francia, Spagna, Portogallo, Grecia); è riuscita a imporre l’intesa ai “paesi frugali”, un tempo suoi fedelissimi alleati in nome del rigore finanziario.
Non è stato facile. Angela Merkel, fino a marzo a capo dei “frugali” rigoristi, ha capovolto la sua politica per due motivi: 1) la necessaria solidarietà europea verso le nazioni devastate umanamente, socialmente ed economicamente dal Coronavirus; 2) la tutela degli stessi interessi tedeschi (e dei paesi ricchi del Nord) ad aiutare gli stati più in difficoltà per scongiurare la disgregazione dell’Unione europea e dell’euro. La cancelliera tedesca, a fine giugno, in una intervista alla Süddeutsche Zeitung, ha illustrato il proposito di Berlino di realizzare «un atto straordinario di solidarietà» verso paesi scossi dall’infezione come l’Italia e la Spagna. Ha anche precisato: «È nell’interesse tedesco avere un forte mercato interno e che l’Unione europea cresca insieme e non si sfaldi».
È anche riuscita nell’impresa titanica di abbattere il totem tedesco del no al debito pubblico comune europeo, sempre in nome della “solidarietà” e dell’”interesse” di Berlino, anche pagando dei costi economici. Ha avuto successo. La sua leadership, data al tramonto, ha ripreso forza. I cittadini tedeschi hanno capito e i sondaggi elettorali danno alla Cdu-Csu, il suo partito, un lusinghiero 40% dei voti. Lei e i democristiani tedeschi continuano a costituire il baricentro della politica teutonica e sembrano aver messo in un angolo i loro sovranisti, estremisti di destra forti soprattutto nell’Est, nell’ex Germania comunista.
Angela Merkel in tre mesi è riuscita anche ad assumere la leadership della Ue, facendola coincidere con l’inizio, il primo luglio, dei suoi sei mesi di presidenza europea. È riuscita a imporre la “pax germanica”. Non è stato semplice anche se è stata aiutata dall’addio del Regno Unito all’Unione europea e dall’indebolimento della Francia di Emmanuel Macron. La cancelliera tedesca è soddisfatta dell’accordo: «L’Europa è capace di aprire nuovi orizzonti». Giuseppe Conte è «orgoglioso» del risultato: «Con 209 miliardi abbiamo la possibilità di far ripartire l’Italia».
Rutte, alla vigilia del consiglio europeo sul Fondo per la ripresa, aveva sostenuto di adorare l’Italia anche se le differenze con i Paesi Bassi sono forti: «Non capirete mai come possiamo bere un cappuccino dopo mezzogiorno» e neppure «come possiamo mettere l’ananas sulla pizza». Già, è difficile da comprendere, come del resto è ostico capire perché i Paesi Bassi sono “un paradiso fiscale”, la mecca delle imprese in cerca di vantaggi e sconti. Per Rutte, però, sarà difficile far capire agli olandesi l’intesa sui sussidi (anche se ridotti) ai paesi del Sud dopo i tanti e granitici no.