Piero Letizia è un manager in pensione, è un grande appassionato di pesca a mosca e della Svezia. Da vent’anni vive un po’ in Italia e un po’ nel paese scandinavo nel quale gestisce un lodge di pesca a mosca e spinning, impartendo lezioni a pescatori provenienti dall’Europa e dall’America. Piero Letizia ha avuto la disavventura di sentirsi male durante la tragedia del Coronavirus che ha colpito anche la Svezia. Ecco la sua odissea nella sanità svedese nell’era del Covid-19. Pubblichiamo anche una versione in inglese dell’articolo.
La sanità svedese è una eccellenza? La mia è stata una brutta esperienza nell’Ospedale di Östersund. Pochi giorni fa mi hanno lacerato dolori terribili. Ho pensato a una possibile colica renale, un mio incubo da anni. Ho indossato come al solito la mascherina protettiva e sono andato nella struttura sanitaria periferica di Föllinge Hälsocentral.
Fatta l’accettazione, mi assiste un’infermiera (senza mascherina). Partono gli accertamenti: prelievo del sangue dal dito, prelievo di un campione di urine, prelievo del sangue venoso. Quindi arriva il medico di turno (senza mascherina). Mi visita mentre i dolori della probabile colica renale diminuiscono. Parte uno screening ai reni con uno scanner portatile e un elettrocardiogramma. Poi ordina all’infermiera di effettuare una iniezione di Voltaren.
L’analisi delle urine ribadisce la presenza di tracce di sangue a conferma di una colica renale. Ma ho anche uno strano dolore al torace. Impaurito, domando se il dolore possa avere qualche collegamento al Covid-19 che in Svezia ora è molto diffuso, ma il dottore con un sorriso mi rassicura. Comunque rimanda il giudizio definitivo al giorno successivo, ad una sua telefonata per commentare i risultati delle analisi del sangue. Richiede nel frattempo un esame radiografico ai reni presso l’Ospedale di riferimento di Östersund, da effettuare nelle due settimane successive. Prima di lasciare la struttura, domando al medico: «Come mai nessuno nella struttura, infermieri e dottori, usa la mascherina?». Il medico con un altro sorriso e con un accenno di sbuffo risponde: «Qui in Svezia hanno sbagliato tutto …. Ma lei porti la mascherina!».
Durante la notte i dolori al petto si accentuano e appaiono anche nella parte posteriore del busto. Sono così forti che penso anche di chiamare il 112, in modo da avere l’elisoccorso vista la distanza di 85 chilometri dalla città. Poi il malessere sembra attenuarsi. Le ore passano e alle 8 di mattina arriva la chiamata del medico che conferma la negatività delle analisi del sangue ma, aggiornato sul forte e diffuso dolore, suggerisce di andare immediatamente in Ospedale a Östersund. Nel frattempo inoltra per via telematica l’assistenza immediata della sanità svedese per lo screening renale.
All’Ospedale, a causa del Covid, trovo l’accettazione all’esterno della struttura. Ripercorro una lunga procedura amministrativa per entrare nell’area di Pronto Soccorso. All’interno dell’Ospedale sono accolto ancora una volta da due figure sanitarie, una infermiera e un infermiere forse di primo livello, visto le domande che pone. Telefona probabilmente al medico responsabile. È attivato un macchinario per eseguire, suppongo, una ecografia.
Mi arriva una domanda: «Ha rigettato o deve rigettare …?». Rispondo: «Ho rigettato durante la colica l’altro ieri». Scatta qualcosa. Ancora una telefonata e poi ordina l’interruzione dell’ecografia. Mi dice di seguire l’infermiera. Mi rendo conto con sgomento di entrare in un’area Red Zone – Covid della sanità svedese! L’infermiera non ha la mascherina, io sì. Si avvicina un altro sanitario, questa volta super protetto da uno scafandro quasi spaziale. Ha un casco, un respiratore e indumenti tecnici anti Covid. Si avvicina con un sacchetto in mano chiedendo di rigettare! La paura aumenta per la visione improvvisa e dalla mancanza d’informazione. Il trasferimento repentino in un’area ad alto rischio di infezione è incredibile. Cerco di far capire al “marziano” che c’è un equivoco, che devo essere riportato immediatamente presso la sala di Pronto Soccorso da cui erroneamente trasferito.
Il “marziano” mi invita ad entrare in una stanza sempre nella zona rossa e di attendere. Qui passo circa 20 minuti nel terrore. Telefono ad amici per avere un aiuto, penso di fuggire dalla finestra. Alla fine decido di suonare l’allarme. Questa volta si presenta una donna, una “marziana” alla quale con nervosismo cerco di spiegare l’errore avvenuto. Ancora un’attesa e poi la “marziana” mi riporta nell’area di Pronto soccorso. Di lì a poco, finalmente, arriva il “Medico”! Con la tensione alle stelle spiego di nuovo tutto da capo. Così si procede con l’esame richiesto dal medico di Föllinge Hälsocentral. La “tortura” va dalle 10.30 di mattina fino alle 15. Lascio infine la struttura. I dolori avuti erano provocati dai troppi farmaci presi, spariranno totalmente in serata.
Ma l’adrenalina accumulata e il terrore di essermi infettato sono durati giorni! Aveva ragione il medico di base di Föllinge: «Qui in Svezia hanno sbagliato tutto …. Ma lei porti la mascherina!». Fortunatamente la indossavo sia quando ero nel Pronto Soccorso sia quando, per errore, sono stato portato nell’area Covid!