È una risposta breve, affogata in una dozzina di altre; “scivolata” tra la generale, apparente, indifferenza… Il senatore del Partito Democratico Luigi Zanda risponde alle domande di Matteo Pucciarelli, su Francesco Cossiga, scomparso dieci anni fa; è una lunga intervista pubblicata da Repubblica.
Si parla della personalità di Cossiga, il suo essere ciclotimico; i rapporti con il Partito Comunista; la vicenda Moro: del leader democristiano era allievo e amico. Cossiga è ministro dell’Interno, quando Moro viene rapito dalle Brigate Rosse. Non essere riuscito a evitare il rapimento e a scoprire dove è tenuto sequestrato e liberarlo, dice Zanda, segna indelebilmente Cossiga: «Lo visse molto male».
A questo punto, Pucciarelli incalza: a proposito di sensi di colpa, su Giorgiana Masi, ne ebbe? Zanda risponde: «Non ne parlava, ma fu una vicenda gravissima e più che altro un atto sconsiderato delle forze dell’ordine. Lì capì che la presenza di agenti armati in borghese andava regolamentata» (Prima non lo era?).
Quando, Cossiga, avrà capito? Era già presidente della Repubblica. Nei suoi diari, il suo capo ufficio stampa Ludovico Ortona, il 16 maggio 1987 annota: «Esce su alcuni quotidiani un attacco di Pannella a Cossiga sulle vicende dell’epoca in cui era ministro dell’Interno (Giorgiana Masi, caso Moro). Lo vedo piuttosto turbato, anche se poi si riesce a ridimensionare l’episodio dicendogli che è un attacco del solito Pannella. Ne è chiaramente dispiaciuto». È evidente che Ortona e chi collabora in quei giorni con Cossiga, non sa, non comprende; ignora. Ma lui, il Presidente, è solo «piuttosto turbato» e «chiaramente dispiaciuto», o ha già compreso?
Chissà. Forse Cossiga più che dispiaciuto era, quel giorno, consapevole. Aveva capito. Per quel che riguarda Giorgiana Masi, e anche, probabilmente Moro.
Come sia, in sei righe Zanda dice quello che molti di noi hanno detto fin da subito: quel 12 maggio del 1977 si voleva festeggiare la storica vittoria del referendum sul divorzio, un NO anche quella volta all’abrogazione della riforma.
Su ordine del ministero dell’Interno guidato da Cossiga, polizia e carabinieri fatti affluire in massa, impedirono che si potesse svolgere una pacifica manifestazione a piazza Navona. Molti di noi vennero, quel giorno, picchiati e arrestati. Si voleva il morto, i morti. Dopo ore e ore di provocazioni, al ponte Garibaldi, verso le 21, un proiettile, sparato dalla parte dove si trovavano le forze dell’ordine, uccide Giorgiana Masi. È tutto documentato in un libro bianco che nessuno ha potuto smentire: oltre a centinaia di poliziotti e carabinieri in divisa, operarono anche decine di provocatori: poliziotti e carabinieri travestiti da autonomi che avevano appunto lo scopo di fomentare e creare disordini.
Anni dopo Cossiga, che aveva sempre puntato il dito contro i settori di Autonomia, ammette di essere stato ingannato. Da chi, come, perché sarebbe stato ingannato, non lo ha detto. Ma Zanda ora ci fa sapere che quel giorno, quel delitto, quelle provocazioni, sono da rubricare come «atto sconsiderato delle forze dell’ordine»; e che Cossiga capì che «la presenza di agenti armati in borghese andava regolamentata». Detto da Zanda, grande amico e confidente di Cossiga, e con la storia che ha, non è poco.