Arroganza e paura non hanno mai portato bene ai leader politici. Specialmente alla vigilia delle elezioni. Gli esempi sono molti, alcuni clamorosi. Basti pensare alle regionali del 2000 che furono fatali a D’Alema, proprio a causa di un’azzardata previsione di vittoria secca del centrosinistra.
La cosa incredibile è che la storia si è ripetuta anche adesso, con Salvini che pochi giorni fa si è lasciato andare all’ipotesi del ko nelle regioni chiamate a questa tornata elettorale (7 a 0 per il centrodestra), poi ridimensionata.
Ma, se è per questo, il segretario del Pd Zingaretti, preoccupato dai sondaggi, che danno in bilico anche una tradizionale “roccaforte rossa” come la Toscana, ha fatto anche peggio: ha messo le mani avanti, dicendo che nel caso di una sconfitta Dem non lascerà la guida del partito. Come se non bastasse, è stato seguito a ruota dal premier Conte, il quale ha sostenuto che il voto del 20 e 21 settembre non avrà conseguenze sul governo.
Da qui le indiscrezioni (smentite dagli interessati) di un patto Zingaretti-Conte per blindare Palazzo Chigi anche in caso d’una sonora sconfitta alle amministrative della maggioranza (Pd-Cinquestelle) che sostiene l’attuale esecutivo.
Arroganza e paura, dunque, frutto di una politica senza progetto che vive di propaganda e di sondaggi. Con una visione che non va oltre l’orizzonte del partito. Per di più in un momento come quello attuale, in cui il Paese avrebbe bisogno di leader capaci di affrontare la crisi e di guardare al futuro. Il risultato della politica liquida, fatta di slogan e di polemiche, è che molti elettori affrontano ogni elezione con la pancia, facendo il tifo per la propria parte in nome d’una “realtà percepita” quasi sempre lontana dai fatti.
Avendo fatto il cronista parlamentare per anni, mi trovo quindi spesso di fronte a domande sul personaggio politico al centro della polemica del giorno: «Che ne pensi di Tizio? E di Caio? E di Sempronio?». Allora di solito rispondo con un’altra domanda. La stessa che mi fece molti anni fa un collega che viveva a Bruxelles, quando gli chiesi che cosa pensasse di Barroso, da pochi mesi presidente della Commissione europea. Invece di soddisfare la mia richiesta, il collega mi fissò negli occhi, sorrise e mi domandò a sorpresa: «Dimmi una sola cosa importante che ti ricordi di lui…». Rimasi senza parole. Non mi veniva in mente nulla.
Per la semplice ragione che Barroso era stato premier portoghese per anni, ma non aveva lasciato traccia. Si era limitato a galleggiare come un sughero. Esattamente come fanno adesso tanti politici di casa nostra. Perciò, anche l’altro giorno, quando un amico mi ha domandato: «Che cosa ne pensi di Zingaretti?», la mia risposta è stata: «Dimmi che cosa ti ricordi di lui…».