Fatte le debite proporzioni e i necessari distinguo, un discorso simile a quello di Bettino Craxi il 3 luglio 1992 alla Camera dei Deputati:
«…E tuttavia, d’altra parte, ciò che bisogna dire, e che tutti sanno del resto, è che buona parte del finanziamento politico è irregolare o illegale. I partiti, specie quelli che contano su apparati grandi, medi o piccoli, giornali, attività propagandistiche, promozionali e associative, e con essi molte e varie strutture politiche operative, hanno ricorso e ricorrono all’uso di risorse aggiuntive in forma irregolare od illegale. Se gran parte di questa materia deve essere considerata materia puramente criminale, allora gran parte del sistema sarebbe un sistema criminale. Non credo che ci sia nessuno in quest’Aula, responsabile politico di organizzazioni importanti, che possa alzarsi e pronunciare un giuramento in senso contrario a quanto affermo: presto o tardi i fatti si incaricherebbero di dichiararlo spergiuro».
Si alzano meno delle dita di una mano, quel giorno: Marco Pannella, qualche parlamentare dei Verdi… Ma i responsabili politici «di organizzazioni importanti», seduti. Sanno che Craxi ha ragione: è un sistema, non è “affare” di un partito, o di questo o quel leader.
Luca Palamara, il potente ed influente ex presidente dell’Associazione Nazionale dei Magistrati, e dal sindacato espulso per gravi violazioni etiche, chiede di essere almeno ascoltato, prima che l’assemblea esamini il ricorso contro il provvedimento, adottato dal direttivo.
Lo fa nell’unico modo possibile: lavando i panni di famiglia in pubblico. È l’unico asso che ha nella manica. L’assemblea, che di tutta evidenza ha deciso di ratificare la decisione del direttivo, gli concede la possibilità di parlare.
Tono pacato, quasi dimesso, ma le stoccate non mancano; ammette di essere stato travolto dall’imperante, straripante, generale «clima di sfrenato carrierismo». Lui – lo riconosce – ha assecondato e favorito. Ma se ha aperto la sua porta, è perché in tanti vi hanno bussato. Snocciola nomi, situazioni, episodi…
Si cosparge il capo di cenere; al tempo stesso, la sua è una esplicita chiamata di correo. I rimproverati rapporti con la politica emersi dalle intercettazioni telefoniche e ambientali? Niente di clandestino, è pratica comune e accettata. Non è qualcosa che ha inventato Palamara. C’era prima di lui, non ha inventato nulla. Un “sistema”, insomma. Ben oliato, conosciuto, praticato. In quanto alla professionalità, al “merito”… Palamara roteando lo sguardo nell’emiciclo dell’Angelicum che ospita l’assemblea, candido sostiene che certo: quando si trattava di scegliere chi collocare nei posti apicali della magistratura, la lottizzazione era “normale”: i beneficiati appartenevano alle varie correnti che componevano e compongono l’ANM. Chi non ne faceva parte…
Accusato e insieme accusatore, Palamara, non ci sta a fare da capro espiatorio. Ripercorre le varie fasi che lo hanno portato sotto inchiesta. I rapporti con Luca Lotti? Cosa normale, risalgono a quando era sottosegretario alla presidenza del Consiglio (glissa sul fatto che è stato rinviato a giudizio dalla procura di Roma, e che discutere con lui del posto di procuratore capo a Perugia, distretto competente per eventuali reati commessi da magistrati romani, non è la cosa più congrua ed elegante). Gli incontri con Cosimo Ferri? Pubblici, non clandestini (e pazienza se Ferri è parlamentare, prima del PD, ora di Italia viva, ex sottosegretario alla Giustizia e un metodico lavorio in seno alla magistratura, prima di darsi alla politica attiva).
Racconta che «i segretari delle correnti sono presenti durante le riunioni del CSM». Riconosce che è «stato travolto e nella fiumana mi sono perso, io parlavo con tutti, ma non sono stato indegno moralmente nei confronti di qualcuno, rappresentavo Unicost, non è stato Palamara a inventare che per quattro posti di PM al CSM ci fossero solo quattro candidati».
Un intervento di una ventina di minuti, per chiedere che si sospenda il giudizio, in attesa almeno che si pronunci il CSM; e che si leggano con serenità le carte. Alla fine, pollice verso da 111 colleghi di Palamara; un solo voto a favore, un altro contrario.
È un “sistema”, Palamara in questo ha ragione. Al di là delle personali, individuali responsabilità, il nodo è questo: lo “sfrenato carrierismo”; le “correnti” che spartiscono, lottizzano; e con buona pace di quanti non ne fanno parte. Poi certo: come s’usa dire, non bisogna fare un fascio di tutte le erbe; e occorre separare il grano dal loglio, e tutti i discorsi che si fanno in simili situazioni.
Resta il fatto che “l’affaire” Palamara è una pietra sollevata sotto la quale si agita uno sconcertante e avvilente verminaio. Ogni volta che si è tentato di fare pulizia, la magistratura associata in sostanza ha risposto chiudendosi a riccio, corporativa e impermeabile.
«L’ANM di Luca Palamara non esiste più», assicura il presidente Luca Poniz. «I fatti disvelati dall’indagine di Perugia, l’emergere, pochi mesi fa, di altri gravi episodi, hanno provocato conseguenze drammatiche per il sistema, ed innescato una crisi profonda, i cui effetti non sono del tutto prevedibili, oltre alla già percepibile, gravissima perdita di credibilità del nostro ruolo, con ciò che esso significa nel rapporto tra giustizia e cittadini».
Il punto è perfettamente colto: la «gravissima perdita di credibilità» del ruolo del magistrato agli occhi dei cittadini. Recuperarla non sarà semplice, non sarà facile. Non basterà di certo espellere, come si è fatto, Luca Palamara. È una questione di “sistema”. Lo dirà strumentalmente, pro domo sua, ma Palamara, in questo almeno, non ha torto.