Quando lasciai il manifesto nel 1997, andai a comunicare la mia decisione a Rossana Rossanda: l’unica con cui mi sono confidato. Lei interruppe l’articolo che stava scrivendo, volle che chiudessi la porta e mi stette a sentire con attenzione. Le esposi il mio malessere che riguardava sia alcune scelte politiche del giornale dell’ultimo periodo (il non credito al governo di Romano Prodi dopo l’infausta parentesi dei governi di Silvio Berlusconi), sia alcune decisioni editoriali.
Lei mi ascoltò paziente, poi sentenziò: «Io ormai non mi occupo più dei problemi di gestione del giornale. Ne devi parlare con Valentino e Luigi. Ti capisco».
Non fece nulla per farmi cambiare idea. Io avevo avvertito il bisogno di parlarle. Mi era stata vicina quando ho perso la mia compagna Barbara Chiaretti per una malattia improvvisa. Barbara era sua amica. Le ero molto grato per quella vicinanza e per aver incoraggiato il nostro amore.
Rossanda era anche una specie di zia o seconda mamma per molti di noi. Quando decidevamo di andare via dal giornale, non faceva però molto per trattenerci: eravamo liberi di farlo senza rancori. Ma ci era sempre vicina, quando poteva farci sentire il suo affetto.
Ebbi a che fare con lei la prima volta nel 1971 in un’assemblea studentesca del Manifesto. A un certo punto parlò per spronarci a intervenire perché lei aveva un aereo nel pomeriggio che l’avrebbe portata a Santiago del Cile dove aveva un appuntamento con il socialista Salvador Allende, da poco eletto presidente della Repubblica, per un’intervista. Mi colpì il suo piglio che convinse me e il mio amico Maurizio Marcelli a prendere la parola in modo da non perdere tempo.
Poi ricordo un’assemblea all’Hotel Parco dei Principi nel 1972, dopo la sconfitta elettorale nella quale il Manifesto non raggiunse il quorum. Toccò proprio a Rossanda introdurre la riunione al posto di Lucio Magri che si era un po’ appartato dalle sue funzioni dirigenti. Rossana ci spronò a non mollare.
Ricordo pure quando nei primi anni Settanta era tale il rispetto per il personaggio Rossanda che noi ventenni facevamo fatica a rivolgerle la parola. Avevamo letto i suoi saggi (tra cui un’importante conversazione con Jean-Paul Sartre), però il timore di non reggere il dialogo vinceva su ogni altra considerazione.
La vedevamo passare in corridoio al quinto piano della redazione di via Tomacelli con eleganza insieme a K. S. Karol, il suo compagno, e a al di là di un cenno di saluto non riuscivamo ad andare. Ci comportavamo meglio nelle riunioni di redazione, dove i fatti di giornata favorivano l’interlocuzione collettiva.
C’è voluto del tempo perché il rapporto tra «giovani» e «vecchi» del giornale si sciogliesse.
Personalmente, qualche volta ho dissentito dalle sue posizioni, com’è naturale che avvenga per liberarsi via via dei propri maestri, ma con tanti altri ex giovani le debbo molto. Ho imparato coerenza intellettuale, metodo di lavoro e libertà di ricerca.
Fu proprio Rossanda che nel 1983 mi convinse a lavorare al manifesto, al quale collaboravo dal 1971, dopo la mia esperienza al Pdup e al mensile/settimanale Pace e guerra diretto da Claudio Napoleoni, Stefano Rodotà, Luciana Castellina, Michelangelo Notarianni. Andai nella sezione Esteri di via Tomacelli, sotto la direzione di Maurizio Matteuzzi.
Nel 1987 mi capitò di discutere di Cuba con Rossanda. Lei aveva visitato l’isola agli inizi degli anni Sessanta con Karol. Dopo l’entusiasmo iniziale, restò delusa per gli attacchi cubani al libro di Karol La guerriglia al potere che raccontava i primi sintomi di burocratizzazione di quell’esperienza rivoluzionaria.
Io ero reduce da un viaggio a L’Avana che mi aveva colpito favorevolmente. Le dissi che tutti gli intellettuali cubani che avevo incontrato la invitavano a tornare nell’isola. Mi rispose secca: «Dì ai tuoi amici cubani che torno volentieri a un’unica condizione: di riprendere la discussione con Fidel da dove l’abbiamo lasciata qualche anno fa». L’orgoglio di Rossanda era a volte difficile da superare.
GLI EPISODI con lei sono molti, difficili da mettere in fila. Una volta le dissi che mi era dispiaciuto che il suo sodalizio con Lucio Magri si fosse rotto nel 1977: erano un tandem intellettuale perfetto, lei aveva lo spessore culturale per non piegarsi mai alla politica del giorno per giorno mentre lui traduceva le intuizioni teoriche manifestine nell’azione politica. Mi stette a sentire senza replicare. Lo stesso mi capitò di dire a Magri.
Con la fine del loro sodalizio, resto convinto, che abbiano perso qualcosa sia Rossana sia Lucio e quindi tutto il gruppo del Manifesto.
II destino e la loro forte amicizia hanno voluto che fosse proprio Rossana ad accompagnare Lucio nell’ultimo viaggio in Svizzera. Vidi arrivare Rossana a casa di Lucio un pomeriggio in piazza del Grillo, prima sede della rivista il manifesto e poi residenza di Magri. Li lasciai soli. Il loro rapporto era pluridecennale, fortissimo, complicato, di stima, complice.
Da il manifesto – 23 settembre 2020