Più giorni passano dalle ultime elezioni amministrative e più appare evidente che Matteo Salvini è un leader dimezzato. Indebolito dall’esito del voto, ma, soprattutto, da una lunga serie di errori, iniziata con il proclama del Papeete.
L’ultimo, in ordine di tempo, è arrivato all’immediata vigilia delle regionali, quando si è avventurato in una previsione a dir poco azzardata: la vittoria per 7 a zero sul centrosinistra. Ma, come sempre accade quando un leader si lascia prendere la mano dall’arroganza, ne è uscito con le ossa rotte. Peggio di quanto il mediocre risultato del voto potesse far immaginare.
La verità è che il leader della Lega, dalla liquidazione del governo gialloverde ad oggi, non ne ha imbroccata una. Né in Italia, né in Europa, dove è stato isolato perfino dal blocco sovranistra ed è riuscito a chiudere qualsiasi rapporto con la Commissione votando contro Ursula Von der Leyen, eletta presidente grazie ai voti del numero uno dei sovranisti europei: l’ungherese Orban. Poi sono saltati fuori i rapporti con Putin e adesso l’incredibile appoggio al dittatore bielorusso Lukashenko.
Ma “il capitano”, a parte alcuni mal di pancia manifestati da qualche dirigente leghista di vecchio corso e di grande peso, come Giorgetti, fino a ieri restava intoccabile. Il 34 per cento conquistato alle elezioni europee non lasciava spazio a una resa dei conti interna. Poi i sondaggi hanno preso a registrare un calo costante dei consensi elettorali: due, tre, quattro, dieci punti. E la magistratura si è scatenata accelerando le indagini sui fondi spariti, con arresti e verbali finiti puntualmente in prima pagina alla vigilia delle regionali, che poi avrebbero messo sotto gli occhi di tutti l’indebolimento del segretario leghista.
Mancata la conquista della Toscana, storica roccaforte rossa, è mancata soprattutto la riconquista della Puglia. Solo le Marche sono state strappate al Pd, ma con un candidato di Fratelli d’Italia.
Senonché Salvini, invece di starsene zitto, ha attaccato i suoi alleati di centrodestra sostenendo che avevano imposto candidati sbagliati. E così si è preso una durissima replica dall’ex governatore pugliese Raffaele Fitto, il candidato “sbagliato” sconfitto nettamente da Emiliano: «Mi massacri, ma in un anno, nella mia regione, hai perso 16 punti». Fitto ci ha anche tenuto a far sapere che prima di pubblicare il suo post ha avvisato Giorgia Meloni e che la leader di Fratelli d’Italia non lo ha fermato.
E così è arrivata, inevitabile, anche la resa dei conti dentro la Lega. Con la prossima riforma organizzativa e la nascita di una segreteria, un organismo «ristretto che affiancherà» Salvini nelle decisioni più importanti e nella «definizione dell’indirizzo politico». In altre parole, un commissariamento, di fronte al quale l’interessato ha commentato alla sua maniera: «Più delego più sono contento…». Parole. La realtà è che sulla sua leadership si allunga sempre di più l’ombra di Zaia. Anche se, con il suo stile democristiano, esattamente l’opposto di quello del “capitano”, il governatore del Veneto minimizza e assicura di non essere interessato alla guida della Lega.