Salvini cambia. Quasi capovolge le antiche posizioni antagoniste: abbraccia la «rivoluzione liberale» dopo sette anni di infuocato sovranismo e populismo. Le elezioni regionali e comunali non sono andate in maniera entusiasmante per Matteo Salvini. La Lega ha perso posizioni perfino nella storica roccaforte della Lombardia. Lecco, ad esempio, non sarà più amministrata dal Carroccio.
È un grave smacco politico e simbolico. Non a caso verso il segretario della Lega sono partite critiche sia da parte degli alleati del centro-destra sia dall’interno del Carroccio. Così Salvini ha deciso di cambiare tutto o quasi: da posizioni di destra, anche estreme, vira verso il centro. Al Corriere della Sera ha rivelato di aver consultato intellettuali come il professor Marcello Pera, antico consigliere di Silvio Berlusconi. A sorpresa ha annunciato: «Condivido l’idea della necessità di una rivoluzione liberale». Già, vuole imboccare proprio la strada di una «rivoluzione liberale», quella enunciata (e mai effettivamente realizzata) da Berlusconi nel 1994 quando fondò Forza Italia.
Sono due le direttrici di marcia. In Italia e in Europa. Nel nostro paese piena libertà politica ed economica, grande attenzione alle esigenze di imprenditori, artigiani e professionisti. Si tratta del ceto medio produttivo forte soprattutto nell’Italia settentrionale, che resta la grande forza del Carroccio soprattutto dopo il mancato sfondamento elettorale al centro-sud. La metamorfosi voluta da Salvini da Lega Nord a Lega nazionale non ha prodotto, infatti, i successi sperati.
In Europa il cambiamento è ancora più forte. Salvini ha messo in soffitta i vecchi slogan sovranisti sull’uscita dall’euro e dall’Unione europea, le invettive contro le élite e le tecnocrazie antipopolari di Bruxelles, le intese con l’estrema destra europea (con Marine Le Pen, cruccio fisso di Macron in Francia, e con Alternativa per la Germania, assillo antidemocratico della Merkel). Non parla più di Vladimir Putin, considerato un faro sul piano internazionale fino a poco tempo fa. Alle fine del 2018, durante una visita a Mosca, non usò perifrasi: «In Russia mi sento a casa mia mentre in alcuni paesi europei no».
Addirittura potrebbe aderire al Ppe, il Partito popolare europeo di Angela Merkel. Certo l’avvicinamento è cauto: se il Ppe «va a sinistra non mi interessa, se si sposta sulle posizioni di Orbàn avvio il dialogo». Viktor Orbàn certamente non è un sostenitore della «rivoluzione liberale». Il premier ungherese è un sovranista di destra, un populista con venature autoritarie ma comunque è nel Ppe assieme alla Merkel e fa parte della maggioranza favorevole alla presidente della commissione europea Ursula von der Leyen. Salvini più che un liberale appare un liberal-sovranista, un liberal-nazionalista si sarebbe detto un tempo.
Il segretario della Lega sembra seguire la parabola del Movimento 5 stelle. Anche i grillini un tempo erano su posizioni sovraniste e populiste: chiedevano un referendum per abbandonare l’euro e la Ue, mettevano sul banco degli imputati l’establishment europeo ed italiano, ce l’avevano soprattutto con la Merkel imputandole l’impoverimento del ceto medio e dei lavoratori italiani. I cinquestelle però, una volta passati al governo dall’opposizione hanno cancellato le posizioni anti Sistema: sono diventati europeisti; hanno votato al Parlamento europeo per l’elezione di Ursula von der Leyen (già stretta collaboratrice della cancelliera Merkel) a presidente della commissione; hanno esultato per il Recovery Fund, il piano di aiuti europeo di 209 miliardi di euro destinati all’Italia per la ripresa post Coronavirus.
All’inizio la svolta moderata e governista del M5S guidata da Di Maio ha causato un enorme travaso di voti verso Salvini. Ma poi l’opposizione ad oltranza del segretario della Lega, comprendente anche un certo scetticismo verso le misure anti Covid-19 del governo giallo-rosso (come l’uso delle mascherine), ha provocato un forte ridimensionamento elettorale del Carroccio. Ne ha beneficiato Giorgia Meloni, presidente di Fratelli d’Italia, alla guida del secondo partito della destra italiana.