Accompagnata dalla solita fanfara di dichiarazioni ufficiali, la nuova società incaricata di rimettere in piedi l’Alitalia è stata finalmente costituita. Sarà completamente pubblica e il ministero dell’Economia controllerà il cento per cento delle azioni. Come previsto, sarà presieduta da Francesco Caio, con Fabio Lazzeroni amministratore delegato.
La firma del decreto è arrivata ben quattro mesi dopo la nazionalizzazione, per via di un lungo braccio di ferro tra i partiti della maggioranza sulla nomina dei membri del Consiglio di amministrazione. Un quadrimestre buttato via, che si aggiunge a tre lunghi anni di amministrazione straordinaria passati inutilmente, senza una ristrutturazione, senza un acquirente e con un buco di altri due miliardi di euro, coperti dallo Stato.
Adesso la nuova società avrà una dotazione di tre miliardi per ricostruire un’azienda letteralmente a pezzi, su cui si è abbattuto anche il Covid. Il piano industriale, al quale si sta lavorando, dovrà essere sottoposto all’Unione europea, e poi alle Camere. Se non ci saranno intoppi, se ne parlerà in autunno. Ma non è detto che fili tutto liscio, perché Bruxelles deve giudicare se i tre miliardi che il governo ha promesso alla compagnia sono o non sono aiuti di Stato, e se tra la vecchia società poi commissariata e quella nuova c’è discontinuità.
La prospettiva è di lasciare a una bad company tutte le zavorre, a cominciare dai quasi 2 miliardi di prestiti erogati (1,4 di prestito ponte, 100 milioni di interessi e 350 milioni di aiuti Covid). Gli esuberi, non meno di 5mila, potrebbero essere trasferiti a terzi, con la cessione di alcuni rami di azienda tipo manutenzione e servizi a terra.
Nel frattempo Alitalia continua a volare in maniera molto ridotta e in un contesto catastrofico, caratterizzato dal crollo della domanda. Il network della compagnia è ai minimi. E se è vero che volano tutti i 104 aerei, è altrettanto vero che lo stanno facendo con rotazioni molto lente, solo per non tenere ferme le macchine a terra. Le destinazioni sono prevalentemente Italia, Europa e Mediterraneo, con circa il 40 per cento di passeggeri in meno rispetto allo scorso anno.
Peggio ancora va il lungo raggio, quello da cui dovrebbero arrivare gli utili della compagnia ristrutturata. Sopravvivono solo due voli: il Roma-New York quotidiano e il Roma-Boston due volte alla settimana. Tokio e Buenos Aires, di cui era programmata la riapertura, sono stati rinviati. La domanda è crollata del 95-97% e non è escluso che il peggio debba ancora arrivare.