Resuscita
lo Stato padrone

Spreco, assistenzialismo. La Seconda Repubblica nei primi anni ’90 mandò in pensione con ignominia lo Stato padrone; la Terza Repubblica invece, complice anche il Coronavirus, lo rimette in pista per disperazione. Più esattamente: il fallimento degli imprenditori privati resuscita lo Stato padrone.

Stato padrone, Giuseppe Conte e Luigi Di Maio

Giuseppe Conte e Luigi Di Maio

Il caso dell’Alitalia è esemplare. I vari governi degli ultimi trent’anni le hanno tentate tutte. Gli esecutivi di centro-sinistra guidati da Romano Prodi, di centro-destra presieduti da Silvio Berlusconi, il ministero populista (grillo-leghista) diretto da Giuseppe Conte hanno chiamato (o tentato di chiamare) al capezzale dell’Alitalia morente blasonati imprenditori privati italiani ed esteri ma alla fine è arrivata sempre la bancarotta. Ora la ex compagnia di bandiera, dopo oltre tre anni di commissariamento, è stata nazionalizzata da Conte, nella veste di presidente del Consiglio dell’attuale governo cinquestelle-democratici. Lo Stato spenderà altri 3 miliardi di euro per cercare di salvare la un tempo gloriosa Alitalia.

Stato padrone, Un aereo Alitalia

Un aereo Alitalia

La stessa sorte è toccata in precedenza al Monte dei Paschi di Siena, dopo il crac della banca toscana. Presto potrebbe essere il turno dell’ex Ilva di Taranto, il più grande impianto siderurgico europeo. Un accenno è arrivato da Conte. Il presidente del Consiglio visitando la fabbrica di Taranto ha accennato al difficile negoziato con l’Arcelor Mittal, la multinazionale indo-francese sul ponte di comando dell’acciaieria ma propensa a mollare gli ormeggi per le ingenti perdite accumulate. Conte ha precisato: nelle discussioni «abbiamo coinvolto la parte pubblica, c’è Invitalia che sta lavorando con Arcelor Mittal». L’obiettivo è rilanciare il centro siderurgico assieme o senza l’Arcelor Mittal garantendo l’ammodernamento degli impianti, la tutela dell’ambiente e la salvaguardia dell’occupazione grazie alle risorse europee del Recovery fund. In questo modo, ha sostenuto, «una alternativa è possibile».

Così anche il centro siderurgico di Taranto, dopo l’Alitalia e il Monte dei Paschi, potrebbe tornare di proprietà pubblica in tempi brevi. Ma non è finita. Per motivi diversi potrebbero seguire altri due importanti acquisti da parte dello Stato padrone: 1) passerebbe di mano Autostrade per l’Italia, di proprietà della famiglia Benetton, dopo il tragico crollo del ponte di Genova che causò ben 43 morti; 2) cambierebbe di proprietà la Tim, la società telefonica detenuta da azionisti italiani e stranieri che da anni naviga in pessime acque.

Stato padrone, Ex Ilva di Taranto

Ex Ilva di Taranto

Strana coincidenza: Alitalia, Mps, ex Ilva, Autostrade, Tim (un tempo Telecom e Stet) erano tutte aziende pubbliche. Fino ai primi anni Novanta erano imprese dell’Iri vendute (in qualche caso svendute) ai privati in ossequio ai dogmi del liberismo allora imperanti. Furono ceduti anche gioielli come la Banca commerciale e il Credito italiano, che dopo hanno dato vita a due colossi di livello internazionale chiamati Bancaintesa e Unicredit. Comunque lo Stato padrone italiano ancora è forte. Mantiene la maggioranza azionaria di un parterre di grandi imprese di tutto rispetto con leadership nei rispettivi settori di azione: Eni, Enel, Poste, Trenitalia (già Fs), Galileo (ex Finmeccanica), Fincantieri, Rai.

Certo c’è una bella differenza tra la Prima e la Terza Repubblica. Allora c’era una strategia di sviluppo industriale a guidare la politica delle Partecipazioni statali, adesso c’è una linea di sussistenza: impedire il totale smantellamento del tessuto imprenditoriale ed industriale italiano.