La seconda ondata del Covid ha obbligato Palazzo Chigi a reintrodurre le lezioni da casa per le scuole superiori. Come previsto dall’ultimo Dpcm firmato da Conte il 24 ottobre. Ma la cosa incredibile è che per buona parte dei sindacati degli insegnanti la scuola a distanza non rappresenta un obbligo.
Il ministero dell’Istruzione ha presentato la bozza di integrazione del contratto della scuola che obbliga i docenti, fino alla fine dello stato di emergenza a svolgere le lezioni da casa, come previsto dalle linee guida emanate l’estate scorsa, ma per ora hanno firmato soltanto Cisl e Anief. Quindi la variazione contrattuale non è in vigore. Gilda e Uil si sono sfilate appellandosi a una non meglio specificata «inaffidabilità della ministra». Cgil e Snals hanno invece deciso di restare alla finestra, perché vogliono “vederci chiaro”. Infatti la situazione è confusa.
C’è un Dcpm in cui è stato deciso che nelle scuole superiori si dovrà ricorrere alla didattica a distanza per almeno il 75 per cento degli studenti. Ma la Dad deve essere organizzata dai presidi e – come se non bastasse – la ministra Azzolina ha spiazzato tutti con una circolare in cui precisa che le scuole restano aperte e il personale docente «continua a operare in presenza».
Quindi, se la situazione non si sblocca, avremo insegnanti che pur continuando a percepire lo stipendio potranno rifiutarsi di fare lezione a distanza. Protetti da sindacati che – al di là delle loro ragioni – preferiscono occuparsi della difesa corporativa dei docenti senza preoccuparsi minimamente degli alunni e delle famiglie alle prese con la maggiore crisi (sanitaria, economica e sociale) dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.