Complice la pandemia, il presidente del Consiglio ama governare per interposto commissario. Il primo è stato Domenico Arcuri, al quale è stata affidata l’emergenza Covid. Ha incominciato con le mascherine, poi è stata la volta dei banchi monoposto con le rotelle, adesso sta preparando il piano di vaccinazione degli italiani e, nel frattempo, dovrà occuparsi anche di acciaio, in qualità di amministratore delegato di Invitalia, l’azienda pubblica che sta per entrare (con il 50 per cento del capitale) nell’ex Ilva di Taranto, il maggior impianto siderurgico d’Europa.
A un giornalista che qualche giorno fa gli ha fatto una domanda sul perché di tutti questi incarichi ad Arcuri, il presidente del Consiglio ha spiegato che a Palazzo Chigi è stata creata una “tecnostruttura” per il coordinamento delle misure contro il Covid che fa capo, appunto, a Domenico Arcuri.
La “tecnostruttura”, ecco la parola magica di Conte. Adesso, in vista dei progetti per ottenere i 209 miliardi di fondi europei del Recovery Fund, vuole mettere in piedi un’altra, gigantesca, tecnostruttura: circa 300 tecnici e un commissario per ogni area di intervento. Al vertice della piramide naturalmente ci sarà lui, con al fianco solo due ministri: Gualtieri e Patuanelli. Per il resto i politici non servono. Bastano i commissari.
I politici vengono messi in secondo piano anche ogni volta che c’è da varare un Dpcm per cercare di contenere la pandemia. Non a caso i governatori si lamentano, ormai in coro, per il decisionismo del premier: «Ci mandano il testo d’un provvedimento alle 10 e ci chiedono una risposta alle 11».
Politico per caso, Conte è però un caso unico di presidente d’un Consiglio dei ministri non tecnico mai passato per una legittimazione elettorale. È stato nominato due volte dagli azionisti politici di due opposte maggioranze. Come se Palazzo Chigi fosse un’azienda. Allora perché lamentarsi se abbiamo un premier che assomiglia a un amministratore delegato?