La riforma del Mes è passata. Mercoledì 9 dicembre il governo ha ottenuto la maggioranza, dopo che i partiti che sostengono l’esecutivo giallo-rosso avevano trovato un accordo politico per rassicurare i parlamentari del M5S contrari alla riforma.
Pericolo scampato per Conte? Certamente. Ma bisogna anche aggiungere che secondo qualche attento osservatore politico, si trattava di una farsa. Primo perché la battaglia ingaggiata dai dissidenti Cinquestelle sembrava più che altro un affare interno al Movimento che è in via di disgregazione. Secondo, perché oggi nessun parlamentare del M5S può pensare seriamente di essere rieletto e quindi azzardare una scommessa sulle elezioni anticipate.
Una farsa, dunque. Infatti per far passare alla Camera e al Senato non l’accettazione del Meccanismo europeo di stabilità da parte dell’Italia, ma solo la sua riforma, non era prevista una maggioranza qualificata, ma bastava quella semplice, cioè la maggioranza dei presenti. Cosicché per avere un voto in più sarebbe stato sufficiente far assentare un certo numero di dissidenti pentastellati e ricorrere eventualmente al voto di qualche “responsabile” del centrodestra, che peraltro aveva già anticipato il suo “sì”. Naturalmente per il “bene del Paese” e per evitare all’Italia una figuraccia in Europa in piena bagarre per i finanziamenti del Recovery Fund.
Il vero pericolo per Conte arriva, invece, proprio dal meccanismo che vuole mettere in piedi per la gestione dei 209 miliardi di euro di fondi europei. Con Matteo Renzi che fa l’ariete per spingere il premier a rinunciare ai commissari e alla task force di “esperti” che farebbero capo a Palazzo Chigi. Insomma, un attacco per ridimensionare lo strapotere di Conte, che non piace nemmeno a Zingaretti e al Pd.