Il Mes brucia
i grillini

Alle volte, in politica, è possibile conciliare l’inconciliabile. La rocambolesca impresa è riuscita al M5S ma il tabù sul Mes è incrinato. Conte, Di Maio e Crimi sono ricorsi al bizantinismo parlamentare. Il presidente del Consiglio, l’ex capo politico cinquestelle e l’attuale reggente hanno argomentato: una cosa è il vituperato Mes e un’altra è la sua riforma.

Tabù, Luigi di Maio e Giuseppe Conte

Luigi di Maio e Giuseppe Conte

Così i deputati e i senatori grillini, salvo qualche dissidente dell’ala dura, hanno votato alla Camera e al Senato in favore della risoluzione di maggioranza a sostegno della riforma del Mes (che pure contestano). Luigi Di Maio cerca di iniettare fiducia alla base costernata con un’acrobatica assicurazione: l’Italia non utilizzerà «mai» prestiti europei del Meccanismo europeo di stabilità.

Tabù, Incontro tra Renzi e Di Maio

Incontro tra Renzi e Di Maio

Chissà cosa penserà Beppe Grillo. Appena qualche giorno fa aveva ribadito il secco no di sempre al Mes. Il titolo di un articolo sul suo blog era netto e graffiante: «La Mes è finita». Il garante dei cinquestelle ripeteva: è «uno strumento non solo inadatto ma anche del tutto inutile».

Ma l’approvazione della riforma del Mes per ora ha salvato il governo giallo-rosso. Nicola Zingaretti e Matteo Renzi lo consideravano e lo considerano un perno politico e finanziario indispensabile. Per il Pd e Italia Viva, che contestano laccentramento di poteri di Conte con comitati e commissari, era ed è impossibile sostenere un esecutivo con dentro posizioni opposte in politica estera. Soprattutto per Zingaretti era impossibile una retromarcia perché era ed è il garante riformista verso Bruxelles della linea europeista del governo contro le pulsioni populiste e sovraniste pentastellate e della destra.

Tabù, Nicola Zingaretti

Nicola Zingaretti

Il Mes è un tabù storico per i grillini. Ricorda le condizioni capestro imposte dall’Unione europea alla Grecia per il suo utilizzo. Grandi prestiti arrivarono ad Atene in crisi ma i draconiani parametri al deficit pubblico comportarono tagli paurosi a stipendi, pensioni e ospedali.

Il «no» al Mes è nato con il M5S, accanto a quelli alla Tap (il metanodotto pugliese) e alla Tav (l’alta velocità Torino-Lione). Questi «no» poi si trasformarono in dolorosi «sì» per le esigenze di governo. Da quelle retromarce iniziò la frana elettorale cinquestelle. Ma c’è dell’altro. I pentastellati cadono in un nuovo incubo. E se qualcuno nel governo ora chiederà i prestiti del Mes per rafforzare la sanità pubblica in affanno contro il Covid-19?