Chi pensava a una crisi pilotata è stato smentito, la crisi è al buio. Renzi mercoledì 13 gennaio ha annunciato le dimissioni delle due ministre (Teresa Bellanova, Elena Bonetti) e di un sottosegretario (Ivan Scalfarotto): così ha staccato la spina al governo giallo-rosso. È nebbia fitta sul futuro, regna il caos.
Dallo scorso giugno cannoneggiava l’esecutivo Conte due da lui pure proposto nell’agosto 2019, dopo la caduta del Conte uno. Il leader di Italia Viva alla fine ha sancito la crisi lanciando a Giuseppe Conte due gravi accuse: 1) l’immobilismo sulle scelte economiche e sociali, 2) l’intenzione di governare con «pieni poteri» (invocati invano dal leghista Salvini), ricorrendo a una valanga di decreti legge e rivolgendosi direttamente ai cittadini in continue apparizioni in dirette televisive.
E ora? Le ipotesi sono molte. La frase magica è «programma di fine legislatura». Può sorgere un governo con la stessa maggioranza guidato sempre da Conte, ha osservato l’ex “rottamatore”, può restare presidente del Consiglio ma «non c’è un solo nome per Palazzo Chigi» (si parla anche di Franceschini). Da Renzi, invece, netto no a un ministero con «la destra sovranista e antieuropeista».
Le ipotesi si accavallano. Zingaretti e Di Maio (e Beppe Grillo) vorrebbero ridare ossigeno al Conte due con un forte “rimpasto” ma potrebbero dare il via anche a un Conte ter. C’è l’ipotesi di un governo di scopo o di un ministero tecnico (qualcuno pensa a una figura analoga a Draghi) di larghe intese.
Il presidente del Consiglio andrà in Parlamento per verificare se gode ancora della fiducia delle Camere. Lunedì 18 gennaio chiederà il voto di fiducia alla Camera e il giorno seguente al Senato. Conte accarezzerebbe l’idea di un esecutivo allargato ai cosiddetti “parlamentari responsabili” in sostituzione di quelli renziani (al Senato, il punto più critico, sarebbero disponibili vari “responsabili” ex berlusconiani ed ex cinquestelle). Anche Pd e M5S penserebbero a questa soluzione. Ma il piano di un governo con i “responsabili”, già scesi in campo in passato con successi effimeri dopo la caduta di un governo Berlusconi e di un esecutivo Prodi, troverebbe “freddo” Sergio Mattarella (giovedì 14 gennaio ha ricevuto Conte).
Il presidente della Repubblica vorrebbe una maggioranza più larga e più coesa possibile soprattutto perché l’Italia è ancora in piena emergenza sanitaria, economica e sociale nel secondo anno della tragica era del Covid-19.
Niente crisi pilotata. La crisi di governo è iniziata il 13 gennaio ma non si sa né quando né come finirà. Conte ne uscirà comunque a pezzi. È una crisi al buio aggravata anche dall’astio personale reciproco sorto tra Renzi e Conte. L’ex presidente del Consiglio rimprovera all’attuale perfino delle velleità antidemocratiche di scavalcare il Parlamento, un’accusa sanguinosa già scagliata dal centro-sinistra contro Salvini. Conte ha imputato a Renzi di comportarsi come un leader dell’opposizione e non della maggioranza e, nei vertici della coalizione, più volte non lo ha invitato a rappresentare Italia Viva.
Sembrano molti i motivi dello “sgambetto” di Renzi a Conte: in testa c’è la volontà di visibilità dell’ex presidente del Consiglio, già segretario del Pd, di uscire da un pesante cono d’ombra. Ma la visibilità mediatica e politica acquisita con la crisi rischia di essere effimera.
Niente crisi pilotata, ma quasi certamente l’unico sbocco da escludere sono le elezioni politiche anticipate. Renzi ha assicurato: «Non si vota ora, si vota nel 2023». Ha ragioni da vendere. Renzi, Zingaretti e Di Maio ne uscirebbero con le ossa rotte, trionferebbe il centro-destra a trazione leghista. Nel Parlamento ci sono anche maggioranze diverse dall’attuale: è credibile la valutazione dei tanti impauriti dal voto. Così spopola l’appello di Mattarella alla mobilitazione dei “costruttori”.