Uno degli ultimi grandi esponenti della Prima Repubblica, Emanuele Macaluso, 96 anni, è morto al Policlinico Gemelli di Roma. Lascia un grande vuoto politico, culturale ed umano. Dirigente storico del Pci, antifascista, sindacalista, giornalista, scrittore era un punto di riferimento importante per la sinistra riformista italiana. Anche ultimamente aveva messo in guardia il centro-sinistra dal sovranismo di Salvini e dal populismo dei cinquestelle. Valter Vecellio l’ha intervistato qualche tempo fa. Pubblichiamo l’intera, ampia intervista.
La prima volta, anni fa, è a Montecitorio: in compagnia di Leonardo Sciascia, parlano ma soprattutto è tutto un gioco di guizzi d’occhi, sorrisi, ammiccamenti, pause. L’ultima, mesi fa, con una troupe televisiva, a casa sua: una lunga intervista per parlare – quando si dice la coincidenza – di Leonardo Sciascia: dell’amico di una vita, del suo essere d’accordo e in disaccordo con lui, e pur nella polemica mai che sia venuta meno stima e amicizia; un rapporto che forse solo i siciliani possono avere e comprendono.
Quell’intervista solo in parte è poi stata trasmessa in una puntata di “Tg2 Dossier”. Credo sia l’ultima intervista televisiva che ha rilasciato. Qui, il testo è completo; e c’è molto non solo di Sciascia, ma dello stesso Macaluso: la sua lucidità e capacità di vedere e comprendere le cose dell’oggi e del domani.
«Ho conosciuto Leonardo Sciascia nel 1941, pieno fascismo. Ero un po’ più giovane di lui, e avevo già aderito alla cellula comunista di Caltanissetta. Leonardo studiava all’istituto magistrale, era molto amico di un altro ragazzo che però studiava al liceo: si chiamava Gino Cortese. Uso l’imperfetto perché anche lui è morto. Gino era un giovane comunista molto spiritoso, Leonardo con lui ha avuto un rapporto che è proseguito nel tempo. Lo stesso Leonardo racconta che proprio Gino lo introduce non solo all’antifascismo militante, ma nell’ambiente comunista, anche se Leonardo non si è mai iscritto al PCI. In estrema sintesi, Gino dice a Leonardo che per fare una lotta antifascista coerente, doveva stare in questo nostro circolo…».
Sciascia questo rapporto lo racconta in alcune pagine delle “Parrocchie di Regalpetra…”.
«Sono episodi anche divertenti: Gino era molto spiritoso. Leonardo, per esempio, racconta che Cortese andava al Gruppo Universitario Fascista, e lì declamava i discorsi di Stalin, ma dicendo che si trattava dei discorsi che aveva fatto un gerarca fascista; e quelli se la bevevano…».
Una bella amicizia, la vostra…
«Un rapporto molto forte e affettuoso anche con me. Certo, abbiamo avuto anche dei momenti di scontro politico. Leonardo era molto saldo, nelle sue convinzioni, e anch’io. Però nessuno dei due, mai, anche quando eravamo in polemica, ha mai messo in discussione l’amicizia che ci ha sempre legato. Ho voluto ricostruire questa nostra amicizia, e ne ho ricavato un libro, “Leonardo Sciascia e i comunisti”, dove racconto di questo nostro rapporto… Però, al di là di questo, c’è una cosa che mi preme, e la voglio dire soprattutto ai giovani, a chi certi giorni non li ha vissuti perché è nato dopo: Leonardo con i libri che ha scritto, con la sua anche attività giornalistica, penso ai suoi scritti sul “Corriere della Sera”, su “La Stampa”, o “L’Ora” di Palermo, ci manca. Ora che non ci sono più, lui e Pier Paolo Pasolini, si avverte un grande vuoto. Sciascia e Pasolini hanno animato le battaglie politico-culturali nel nostro Paese, come nessun altro ha saputo fare. Non ci sono più “firme” come quella di Sciascia o Pasolini… Leonardo, in particolare, protagonista con i suoi libri e i suoi articoli di ‘polemiche’ su un terreno che ancora oggi considero fondamentale, quello della giustizia. Aveva l’autorità, il coraggio di sostenere queste battaglie garantiste sulla giustizia, la sua è stata una voce fondamentale. E ha avuto un valore fondamentale nella formazione politico-culturale del nostro Paese: in cui quegli anni, quei dibattiti sulla giustizia hanno avuto un carattere e un senso che oggi purtroppo non vedo più. Da questo punto di vista Leonardo non è stato solo un grande scrittore, ma anche un grande italiano; al tempo stesso un uomo dell’Europa, ha incarnato con i suoi scritti e le sue battaglie politico-culturali, il meglio che questo Paese poteva esprimere».
Con il Partito Comunista entrò in fortissima collisione…
«Politicamente sappiamo tutti come sono andate le cose: lui non si è mai iscritto al PCI; ma in un certo periodo ha avuto rapporti di vicinanza con il partito; è stato anche candidato come indipendente al consiglio comunale di Palermo, ed eletto. Poi, dopo qualche mese, si è dimesso, per profondi dissensi con Achille Occhetto, che allora era il segretario regionale del partito in Sicilia. Sciascia era contrario al compromesso storico, e accusò Occhetto di contrattare con la Democrazia Cristiana di allora. Da allora il giudizio sul PCI via via ha assunto toni sempre più aspri, e ci sono state polemiche molto dure, con il gruppo dirigente del partito. Alla fine, è approdato alle sponde del Partito, di cui è stato anche deputato nazionale ed europeo. Capisco che in quel partito si sia trovato a suo agio: nel Partito di Marco Pannella ha avuto la possibilità di esprimere i suoi convincimenti, sulla giustizia e il resto, senza alcun tipo di condizionamento o vincolo. Penso sia stata questa la “chiave” che ha trovato nei radicali. Vede: Leonardo era una persona gentile. Molte volte nella polemica era aspro. Però non era astioso. Aveva la capacità di recuperare sempre un rapporto, con le persone con cui polemizzava».
Negli ultimi tempi, quand’era gravemente malato, lei gli è stato molto vicino…
«A un certo punto avverte un forte dolore alla schiena. Io ero molto amico di un professore specialista in queste cose, siamo andati insieme nella sua clinica per una visita. Il professore lo visita e capisce che non è un problema di un ortopedico, è qualcosa di più pesante e grave: una forma cancerosa che tra le varie conseguenze lo portò come ad accorciarsi fisicamente. Dopo qualche tempo, era già ammalato, con Antonello Trombadori lo vado a trovare, ed è molto abbattuto, ha la consapevolezza di essere ormai alla fine; e nonostante questo, trova la forza per scrivere quel suo ultimo, meraviglioso, libretto sulla giustizia: “Una storia semplice”; un racconto di una bellezza straordinaria, scritto mentre era malato…me lo ricordo, lì a Milano, quando lo dettava…».
Uomo buono, le pare una definizione riduttiva?
«No, tutt’altro».
Glielo chiedo perché ha fatto cenno alle sue polemiche dure…
«Erano polemiche aspre. Era così, quando replicava alle polemiche. Quando pensava di dire cose giuste, faceva ricorso a parole molto forti. Era la sua cifra: aveva convincimenti forti, soprattutto sul terreno della giustizia, sul terreno dei diritti. Quando c’era da polemizzare, lo faceva abbastanza duramente…».
Gli hanno scagliato accuse incredibili, l’ultima polemica, quella sui “professionisti dell’antimafia”… Credo che quella l’abbia particolarmente ferito…
«Mi lasci dire: è stata una cosa ignobile. Lo posso dire: una cosa vergognosa e ignobile, quella del cosiddetto Comitato Antimafia di Palermo…ne facevano parte alcuni personaggi che non voglio neppure nominare… Si sono permessi di definire Leonardo un quaquaraquà, perché aveva espresso un’opinione che non coinvolgeva tanto – era solo un esempio – Paolo Borsellino, quanto un metodo di affrontare la questione delle carriere dei magistrati…».
Borsellino valutato con il criterio del merito, Giovanni Falcone con quello dell’anzianità…
«Esattamente. Leonardo non era assolutamente offensivo nei confronti di Borsellino; criticava un metodo. Del resto, è lo stesso Consiglio Superiore della Magistratura che poi tratta Falcone nel modo in cui sappiamo, e arrivano le accuse vergognose di alcuni cosiddetti anti-mafiosi…».
Falcone si trova accusato di celare la verità sui delitti eccellenti che avevano insanguinato la Sicilia…
«…di tenere chiuse nel cassetto le cose contro Giulio Andreotti e Salvo Lima. Una cosa inaudita E tuttavia Falcone si trova costretto a difendersi al CSM…Oggi lo vediamo, con tutto quello che viene fuori, se Leonardo aveva o no ragione…Leonardo aveva perfettamente individuato nei metodi del CSM i limiti e le storture del Consiglio stesso. I fatti recenti ci dicono che le sue polemiche non erano campate in aria o strumentali, avevano un fondamento…».
Sciascia è stato oltraggiato anche da morto. Hanno detto che ‘Il giorno della civetta’ è un racconto che esalta il capo-mafia Mariano Arena, e fa piacere alla mafia, che sia stato scritto…
«Questa sciocchezza, purtroppo è stata detta da uno che è stato parlamentare…un parlamentare della sinistra… È la stupidità più clamorosa che mi è toccato sentire su Leonardo. Quel libro, ‘Il giorno della civetta’, non a caso è stato tradotto in tutto il mondo, ha venduto milioni di copie: è il primo romanzo che ha fatto capire all’Italia e al mondo cos’è la mafia siciliana: l’idea che fosse una delinquenza organizzata, con personaggi che avevano un rapporto politico con la politica, ma anche con la popolazione. Perché vede, la grande mafia, quella che ha contato, aveva sì un rapporto politico con il potere, ma anche con la popolazione: i mafiosi risolvevano i problemi, erano una specie di tribunale per dirimere questioni e contrasti… Mariano Arena era anche questo. Se questo rapporto non c’è, si deve parlare di delinquenza più o meno organizzata; ma la mafia ha questa peculiarità… Con ‘Il giorno della civetta’ Sciascia ci fa capire che cos’è stata la certa mafia negli anni Cinquanta e Sessanta. Se non si comprende la diversità costituita dal rapporto con la politica, l’establishment, il popolo, non si capisce nulla della mafia; e soprattutto come mai vive e opera da più di cento anni».
Ne ‘Il giorno della civetta’ Sciascia indica anche il modo per contrastare la mafia, seguire le tracce lasciate dal denaro…
«Sì: lavorare nelle banche e negli istituti di credito, e colpire i mafiosi dove sono più sensibili: il denaro. Ma c’è anche un’altra ‘lezione’. Il capitano Bellodi alla fine se ne va, torna a Parma. È quello che accadeva, che è successo: anche nelle forze dell’ordine, come nella politica, una parte era compromessa con la mafia e non faceva tutto quello che avrebbe potuto fare; un’altra la combatteva… Il capitano Bellodi incarna il modo di fare e di pensare di una parte importante delle forze dell’ordine, in contrapposizione di un’altra, che era come sappiamo, compromessa».
Lei ha avuto una dura polemica, a proposito di un libro di Sciascia, “Il contesto”…
«Consideravo ingiusto il modo in cui rappresentava i comunisti. Però, poi, rileggendo il libro…Anche lì c’è qualcosa di profondo, che riguarda il modo d’essere la giustizia: credo sia questa l’angolazione fondamentale per leggere quel libro. E certamente ne consiglio la lettura».
Oggi dunque non si esprimerebbe, a proposito de “Il contesto”, nei termini usati anni fa?
«Ho ripensato ad alcune cose che allora scrissi. Non è un ripensamento opportunistico, non appartiene al mio modo di essere. Penso piuttosto che tutti debbano avere la possibilità di una ‘rilettura’ di posizioni assunte anni o decenni prima. Chi sostiene di aver avuto sempre ragione non mi convince: nessuno ha avuto sempre ragione. Ripensare e rimodulare i propri giudizi, credo che sia il modo giusto per un intellettuale».
Quando ha accettato di candidarsi nel Partito Radicale: ne è rimasto sorpreso? Immagino che ne abbiate parlato…
«Sorpreso no. Mi ha raccontato che Pannella è andato da lui a Palermo. Proprio allo scadere della presentazione delle liste. Pannella era Pannella, sappiamo come era capace di coinvolgere le persone. Leonardo ha capito che in Parlamento avrebbe potuto fare quello che voleva in piena libertà, e soprattutto lo intrigava la vicenda Moro; infatti, una volta eletto ha fatto parte della commissione parlamentare, e ha scritto una bella relazione di minoranza… Questa credo sia stata la molla: era convinto che altrove avrebbe dovuto rispondere al Partito. Ma con Pannella non c’era un Partito; i radicali erano qualcosa di diverso. Leonardo aveva da rispondere solo alla sua coscienza, i radicali avrebbero accettato tutto quello che lui riteneva utile e giusto dire e fare. Cosa che effettivamente è accaduta…».
La vicenda Moro: vi siete trovati su fronti opposti…
«Sì. Su quella vicenda, ancora oggi non mi convince la posizione assunta da Leonardo. Allora mi sono schierato per la ‘fermezza’, contro la trattativa… Ci ho pensato spesso, è una vicenda che mi ha toccato nel profondo… Penso che la fermezza sia servita per distruggere le Brigate Rosse. Sarà giusto, sarà sbagliato, ma questo è il mio convincimento, e non è quello di Leonardo… Nella sua relazione ci sono punti che non condivido, anche se dal punto di vista letterario è uno scritto bellissimo…».
Cosa resta, oggi, di Sciascia?
«Resta il complesso della sua opera. Un patrimonio importante che ci ha lasciato è la sua battaglia per la giustizia. Mai come oggi si avrebbe bisogno di lui, di una grande personalità come la sua. Questo rimane. C’è come un vuoto, da quando se n’è andato, che nessuno ha saputo colmare…».