Emanuele Filiberto
chiede perdono.
Dovrebbe chiedere scusa

Emanuele Filiberto di Savoia chiede “perdono” per le leggi razziali firmate da Mussolini e dal nonno, Vittorio Emanuele III. Leggi infami, peggiori di quelle naziste; se in Italia è andata meglio che in Germania è solo perché tanti italiani si sono rifiutati, a costo anche della loro vita, di applicarle.

Emanuele Filiberto, Emanuele Filiberto di Savoia

Emanuele Filiberto di Savoia

Due appunti: Emanuele Filiberto parla di firma “sofferta”. C’è un documento, una testimonianza che possa dire che quella firma fu “sofferta”? Quella firma ha procurato infinita sofferenza, ma non risulta sia stata “sofferta”. Anzi, i testimoni dell’epoca raccontano che il monarca firma a San Rossore, e come sempre passeggia lungo la spiaggia, avendo cura di rimboccarsi i pantaloni per non bagnarli, e termina il pranzo con la solita “scheggia” di parmigiano. Nulla che faccia sospettare sofferenza.

Ancora: si chiede più volte “perdono”. Il perdono lo può dare solo la vittima di un’offesa, di un oltraggio. Emanuele Filiberto deve chiedere scusa, ma non può attendersi perdono e oblio della memoria.

Una “lettera” con cui si cerca di chiudere una pagina vergognosa e infame scritta dai Savoia. Una pagina che il padre, Vittorio Emanuele ha confermato, aggiungendoci del suo.

Emanuele Filiberto, Vittorio Emanuele III

Vittorio Emanuele III

È il 1997. Il Governo di allora, presieduto da Carlo Azeglio Ciampi, si accinge ad abrogare la norma costituzionale che vieta l’ingresso e il soggiorno dei maschi di casa Savoia in Italia. Vado in quella sua villa kitsch sulle colline di Ginevra. Gli domando se si sente di chiedere scusa (scusa, non perdono) agli ebrei per quella firma infame del nonno. Mi aspetto un SI, arriva secco un NO. Stupito chiedo perché. Risponde che quelle leggi in fin dei conti non erano così gravi. Risposta sconcertante, idiota, da ignorante.

Si rende conto della gravità delle cose dette solo il giorno dopo, quando scoppia un finimondo, e Ciampi cancella il provvedimento annunciato. Ha l’improntitudine, Vittorio Emanuele di accusarmi di aver manipolato le sue dichiarazioni. Ma sono le sue, immortalate dalla telecamera; così le ha rese, così le trasmetto. Ripiega dicendo che era stanco.

Ora il figlio, finalmente chiede perdono.

Le leggi razziali italiane sono del 5 settembre 1938. Ci sono voluti 83 anni per riconoscere l’infamia di quelle leggi.

Infine: i Savoia chiedono che le spoglie di Vittorio Emanuele III un giorno possano “riposare” al Pantheon. Rinuncino a questa pretesa. Il Pantheon è per i “grandi”. Vittorio Emanuele III resti dov’è.