Tre “grandi” hanno parlato, tra i tanti, nel Giorno della Memoria 2021: il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, la senatrice Liliana Segre e Papa Francesco.
In Italia la giornata commemorativa è stata istituita per legge nel 2000 in ricordo delle vittime dell’Olocausto e delle leggi razziali, nonché di tutti coloro che sono stati deportati e sterminati nei campi di concentramento disseminati in Europa dai nazisti. Nel 2005 analoga decisione è stata presa anche dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per non dimenticare, combattere ogni forma di antisemitismo e rendere omaggio a tutte le vittime della Shoah. La data scelta è stata quella del 27 gennaio perché fu proprio in quel lontano giorno del 1945 che le truppe dell’Armata Rossa arrivarono ad Auschwitz svelando al mondo l’orrore.
La memoria è dunque al centro di tutte le riflessioni, i ricordi, le testimonianze, le commemorazioni perché, lo ha detto la senatrice Liliana Segre, la memoria è un “un vaccino” contro l’indifferenza, la terribile noncuranza, la freddezza, il colpevole disinteresse di chi si è voltato dall’altra parte, ha fatto finta di non vedere, di non accorgersi dell’abominio che veniva perpetrato nel cuore della colta e civilissima Europa. Questa indifferenza è non meno disumana della ferocia di chi ha materialmente messo in atto lo sterminio.
Il presidente Mattarella, nella cerimonia al Quirinale ha detto: «Sono passati vent’anni da quando con legge è stato istituito il giorno della memoria e tutte le volte ci accostiamo a questo tema con commozione e turbamento, sempre pervasi da inquietudine, dubbi e interrogativi irrisolti». Poi aggiunge: «Ricordare esprime un dovere di umanità e di civiltà».
E poi Papa Francesco. «Ricordare è espressione di umanità, è segno di civiltà, ricordare è condizione per un futuro migliore di pace e fraternità» ha detto nel corso dell’udienza generale in Vaticano e ha poi aggiunto: «Ricordare è anche stare attenti, perché queste cose possono succedere un’altra volta, incominciando dalle proposte ideologiche che vogliono salvare un popolo e finendo a distruggere un popolo e l’umanità. State attenti a come è incominciata questa strada di morte, di sterminio, di brutalità».
E ancora gli incontri nelle scuole, le testimonianze dei sempre più rari sopravvissuti con i loro racconti preziosissimi di chi l’orrore lo ha vissuto in prima persona, e poi le visite delle scolaresche nei campi di sterminio, al momento chiusi a causa della pandemia, i dibattiti, i libri consigliati dei più grandi autori, gli imprescindibili: Primo Levi, Hanna Arendt, Elie Wiesel, Vasilij Grossman. È un elenco lunghissimo. Tutto ciò che serve per non dimenticare.
Ma oltre al doveroso impegno del ricordo e della condanna c’è qualcosa in più ancora da fare per evitare di cadere nell’abisso della disumanizzazione. Guardarsi intorno. Riflettere su quello che accade qui e ora.
Ai confini tra la Bosnia e la Croazia, in Europa quindi, a casa nostra ancora una volta, ai profughi afghani, pachistani, siriani in fuga dalla guerra e dalla miseria lungo la rotta dei Balcani, in improbabili e miserabili campi di accoglienza (sic), non viene fornito neanche il minimo indispensabile per scaldarsi in mezzo alla neve, con temperature che durante la notte sfiorano i -20 gradi. Povere creature scalze i cui i piedi si congelano e a volte vengono amputati. Alcuni muoiono. Poi, come se le sofferenze non fossero abbastanza, le percosse e gli insulti per quanti, perlopiù uomini giovani e giovanissimi, tentano di passare il confine con la Croazia per entrare nei paesi europei e ricongiungersi con le famiglie. Vengono inseguiti, braccati da cani ferocemente addestrati e riportati indietro, come in un insensato e crudele “gioco dell’oca”.
Un esempio fra tutti quello del campo profughi di Lipa, in Bosnia. Il 23 dicembre scorso è stato devastato da un incendio e fino ad allora era stato l’unico riparo per un migliaio di persone respinte dalla Croazia, dalla Slovenia e dall’Italia in questo ultimo periodo. Ora tra gli scheletri delle tende assediate dalla neve c’è solo la Croce rossa locale e qualche volontario a fornire l’unico pasto al giorno. Nel campo, è superfluo ricordarlo, non c’è rete fognaria, né elettricità. Ci si scalda con poche coperte e piccole sciarpe e tenendosi stretti l’uno all’altro.
È l’orrore che si affaccia di nuovo davanti ai nostri occhi increduli. Già ad alcuni rischia di apparire come una tragica routine quella delle imbarcazioni che affondano nel Mediterraneo con il loro disperato carico di esseri umani. Ora le immagini di questi fantasmi intirizziti nella neve di cui si parla poco, perché ignorati persino dai grandi mezzi di informazione.
Abbiamo il dovere morale di aiutarli. Dobbiamo farcene carico, l’Europa e le organizzazioni internazionali hanno l’obbligo di intervenire. Non è più tempo per nessuno di girarsi dall’altra parte. La tragedia della Shoah ce lo ha insegnato.