Un tornado piomba sul sistema politico italiano. Il governo Draghi si abbatte come un uragano sui poli e i partiti italiani. È difficilissimo far convivere nell’esecutivo di grande coalizione dei nemici giurati: Forza Italia con il Movimento 5 stelle, la Lega con il Pd e Leu. È difficilissimo far convivere il riformismo europeista e atlantico del presidente del Consiglio con il populismo-sovranismo vecchio o addolcito di Matteo Salvini e di Beppe Grillo.
Adesso il colpo più duro lo accusano i cinquestelle. Grillo ha messo bruscamente da parte Giuseppe Conte ma non è riuscito nel miracolo di convincere tutti ad appoggiare Draghi. Il garante dei cinquestelle a sorpresa ha definito il presidente del Consiglio «un grillino», ha ottenuto l’istituzione del ministero della Transizione ecologica ma per una parte dei pentastellati l’ex presidente della Banca centrale europea continua ad essere «Dracula», uno dei principali esponenti della “Casta” e delle vituperate élite antipopolari. Così un gruppo di deputati e di senatori pentastellati non ha votato o ha detto no al governo Draghi voluto da Grillo, Di Maio e Crimi. Risultato: 21 deputati e 15 senatori rischiano l’espulsione.
Alessandro Di Battista non sente ragioni. Il leader dell’ala radicale del M5S condivide il no al presidente del Consiglio definito sarcasticamente il «tredicesimo apostolo». Predica «una sana e robusta opposizione» ma smentisce ogni ipotesi di rottura: «Io non sto facendo scissioni…Non fondo partiti…Non sto capitanando correnti».
Nei guai è anche Salvini. Il repentino sì al governo Draghi, dopo la continua richiesta di elezioni politiche anticipate alzando la bandiera dell’euroscetticismo, non è stato indolore. È suonato come uno “schiaffo” a se stesso e ai leghisti convinti sovranisti: già un deputato, Vinci, ha votato contro la fiducia, ha lasciato il Carroccio e ha aderito a Fratelli d’Italia, il partito di destra rimasto all’opposizione.
Tra Pd, M5S e Leu si è parlato di una mossa unitaria, della formazione di un intergruppo al Senato. Si è anche ipotizzata una federazione a tre. Ma Nicola Zingaretti sembra aver chiuso la porta a questa possibilità, temendo il “matrimonio” con il M5S in frantumi.
Chi crede a una rapida scomposizione di poli e partiti è Renzi. Il leader di Italia Viva prevede «una riorganizzazione della politica con l’europeizzazione dei partiti». L’uomo dello “sgambetto” al governo Conte due vede aprirsi «uno spazio al centro» con la creazione di una nuova forza liberaldemocratica sul modello di quella creata da Emmanuel Macron in Francia. L’ex segretario del Pd già presidente del Consiglio sembra guardare a una nuova forza centrista da realizzare con Berlusconi, Calenda e Toti. Ma il presidente di Forza Italia ha smentito il progetto: «Non servono nuovi contenitori».