Un compagno di viaggio supporterà l’Italia nella sua difficile transizione verso la fine della pandemia. Lo Sputnik V, traducibile dal russo come “compagno di viaggio”, atterrerà presto in Italia. Non si tratta del satellite sovietico che per primo nel 1957 raggiunse l’orbita terrestre ma bensì del vaccino contro il COVID-19 brevettato dal centro di ricerca moscovita Gamaleja. L’Italia sarà infatti il primo paese dell’Unione Europea a produrlo sul proprio territorio nazionale. Insieme al vaccino sembrava essere atterrata sul suolo europeo anche una buona dose di pragmatismo, rimedio indispensabile per alleviare le persistenti tensioni tra Mosca e Bruxelles.
Invece, esattamente lo stesso giorno della pubblicazione dell’accordo sulla produzione italiana dello Sputnik, nella travagliata regione Ucraina del Donbass le artiglierie dei governativi e dei separatisti filo-russi tornavano a minare la tregua raggiunta con gli Accordi di Minsk II. La settimana successiva, nel Canale di Sicilia i velivoli dell’Aeronautica italiana si ritrovano ad inseguire un sottomarino russo affiorato nel bel mezzo di una esercitazione navale NATO. Queste provocazioni sembrano essere la risposta al nuovo pacchetto di sanzioni mirate contro alcune autorità russe approvate dalla presidenza statunitense Biden e dal Consiglio dei Ministri UE a causa dell’arresto dell’oppositore politico Alexei Navalny e dopo il fallimento della mediazione dell’Alto Rappresentante UE Borrell. Il messaggio da Mosca è chiaro: senza cooperazione con noi non ci può essere una duratura stabilità sul continente.
L’Italia in questo susseguirsi di tensioni cerca di andare oltre la cortina di diffidenza che attraversa l’Europa per proseguire nel suo consolidato ruolo di interlocutore con il vicino dell’Est.
Va infatti ricordata l’azione svolta da Roma nel mantenere un canale aperto con Mosca sin dai tempi dell’Unione Sovietica. Al legame con il PCI ed ai contratti di ENI e FIAT si affiancavano politiche volte a favorire la stabilità e la cooperazione politica. Tra queste iniziative rientra la firma dell’Atto Finale di Helsinki da parte dell’allora Primo ministro Aldo Moro in qualità di Presidente del Consiglio della Comunità Europea (Dichiarazione Moro) per lanciare la Conferenza sulla Sicurezza e sulla Cooperazione in Europa. Tale impegno a favore del dialogo è proseguito anche dopo la caduta del sistema sovietico, come dimostrato dal fondamentale contributo della mediazione italiana al vertice di Pratica di Mare del 2002 tra G.W. Bush e Putin con la relativa istituzione del Consiglio NATO-Russia.
Allo stesso tempo l’Italia non può rinunciare ai principali cardini della sua politica estera: legame transatlantico ed integrazione europea. Ecco, quindi, l’allineamento italiano alla reazione contro l’annessione Russa della Crimea e alla destabilizzazione dell’Ucraina nel 2014 attraverso la partecipazione al contingente atlantico stanziato nel Baltico e l’adesione alla politica sanzionatoria UE nonostante le ripercussioni sui legami commerciali. D’altronde l’adesione al regime sanzionatorio si inscrive sempre in quella strategia di ricerca della stabilità europea, che se da un lato favorisce il dialogo dall’altro non può accettare che un’azione militare unilaterale diventi “mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”, come sancito dall’ articolo 11 della Costituzione. L’ impossibilità di dare riconoscimento legale ad una situazione sorta dalla violazione del diritto internazionale (seguendo il principio Ex Injuria Jus Non Oritur) trascende la motivazione puramente etica e vuole evitare di passare il messaggio che per quieto vivere si è disposti ad accettare situazioni di fatto realizzate manu militari, con il conseguente rischio di incentivare una diffusa instabilità nel sistema internazionale.
Resta però il dilemma di come ricucire i logori legami politici che uniscono i due lati del continente europeo.
Come ci ricorda il politologo Iver Neuman, bisogna innanzitutto evitare che la fermezza nel rispondere ad azioni assertive si traduca in una marginalizzazione della Russia, stigmatizzandola come non-Europa o addirittura anti-Europa. [1]
Perfino in situazioni di particolare tensione è però possibile avviare una pragmatica cooperazione con Mosca, dove l’Italia può dare voce al proprio interesse nazionale. Questo accadde a fine 2008 quando, nonostante l’acuirsi del dissenso a causa del riconoscimento dell’indipendenza del Kossovo da parte della maggior parte dei paesi europei seguito dal riconoscimento russo dell’indipendenza di Abkhazia e Sud Ossezia dopo la guerra in Georgia, il Cremlino prestò soccorso con reparti di elitrasporto alla missione europea EUFOR Tchad/RCA nella Repubblica Centrafricana. Similmente nel 2020 la missione navale UE IRINI per monitorare l’embargo libico, di particolare interesse per l’Italia, ha visto il proprio mandato essere approvato in seno al Consiglio di Sicurezza ONU grazie al voto favorevole russo malgrado i crescenti contrasti dovuti al coinvolgimento russo a fianco del generale Haftar.
La strada da percorrere sia per la diplomazia italiana che per quella dell’Unione rimane il cosiddetto approccio del “doppio binario”: fermezza verso azioni assertive controbilanciata dal dialogo su tematiche di comune interesse. Non possiamo però permetterci una strategia statica che accetti passivamente l’ormai insostenibile status quo delle relazioni transeuropee ma risulta necessario un dialogo costruttivo che punti al progressivo reinserimento della Russia nel sistema di governance europea. Al fine di concretizzare il progetto di una “Comune Casa Europea” di Gorbacioviana memoria, si potrebbe recuperare l’iniziativa di Meseberg avviata dalla Cancelliera Merkel nel 2010, la quale puntava a definire una road map per un progressivo rafforzamento della cooperazione transeuropea evitando i bruschi alti e bassi dei “reset” statunitensi.
Una preziosa opportunità per un primo passo verso la strada della cooperazione ci viene offerto dalla difficile situazione in cui versa il continente. L’Italia potrebbe tentare ancora una volta la via della mediazione a margine del G20 di Roma, lanciando proposte per una genuina science diplomacy tra Mosca e la Commissione europea in nome della comune lotta al virus affiancata da un parallelo piano di rilancio economico inclusivo per affrontare rapidamente la profonda crisi causata dalla pandemia. Questo potrebbe portare ad un costante effetto spill-over della cooperazione in vari settori, con l’obbiettivo di mitigare le percezioni di inaffidabilità che Mosca e Bruxelles hanno l’una nei confronti dell’altra. Ecco, quindi, che la Russia da occasionale compagno di viaggio nella lotta contro la pandemia si evolverebbe in uno stabile sputnik nella gestione della governance europea.
[1] Iver B. Neumann (1998) Russia as Europe’s other, Journal of Area Studies, 6:12, 26-73, DOI: 10.1080/02613539808455822