Dal buio «a riveder le stelle» è un bel sollievo. Estorsione e baratteria, ovvero corruzione di pubblico ufficiale. Dante Alighieri fu condannato a Firenze con accuse infamanti. Fu tra i protagonisti della lotta politica: priore, ambasciatore, soldato del Comune di Firenze del 1300. Dante era del partito dei Bianchi e quando i Neri conquistarono la città arrivò la purga politica e giudiziaria: la sua casa fu saccheggiata, i suoi beni confiscati, fu costretto all’esilio pena la minaccia della condanna al rogo nel caso del suo ritorno in patria. È una tragica vicenda che ricorda molto le “guerre politiche” dell’Italia e dell’Europa moderna.
Il dolore per l’esilio diede benzina al genio poetico di Dante: così nacque la Divina Commedia, le potenti fondamenta della lingua italiana e, forse, dell’unità d’Italia. Nel 2021, a 700 anni dalla morte, l’Italia celebra il suo più grande poeta, amato e studiato in tutto il mondo. La regione Lazio dal 25 marzo ha lanciato A riveder le Stelle, un vasto programma di celebrazioni per ora su Internet (www.regione.lazio.it/rl/dante/) che si snoderà per tutto l’anno tra Roma, le città e i parchi naturali del territorio laziale.
A riveder le Stelle, non è un titolo a caso. È ripreso da «quindi uscimmo a riveder le stelle», un verso della Divina Commedia, è la descrizione del sollievo di quando Dante concluse il viaggio tra i condannati posti nell’Inferno. A riveder le Stelle è anche una metafora: è l’augurio di una uscita rapida dall’incubo del Covid-19 che da oltre un anno sconvolge l’Italia e tutto il mondo.
Dante aveva una grande considerazione di se stesso. Da Brunetto Latini, il suo antico maestro incontrato nell’Inferno, si fa predire il suo esilio dall’amata e ricca Firenze: «Ed è a ragion; ché tra li lazzi sorbi si disconvien fruttare al dolce fico». Traduzione: il «dolce fico», ovvero il sommo poeta, non può prosperare «tra li lazzi sorbi», cioè tra le sterpaglie.
Ruppe la tradizione degli intellettuali di usare il latino nella letteratura, nei saggi e nella poesia. Usò il cosiddetto volgare toscano, inventò così la lingua italiana assieme a Petrarca e a Boccaccio. Fu un uomo curioso, molto amante della libertà e del sapere visto come chiave di sviluppo della civiltà.
Un suo mito fu Ulisse, l’eroe greco, tifoso della conoscenza: anche per amore di scoprire sempre uomini e terre diverse vagò per dieci anni nel Mediterraneo dopo la sconfitta di Troia. Secondo l’Odissea arrivò nel suo girovagare per mare anche in Italia. Giunse pure sulle coste del Lazio, al promontorio del Circeo, dove la maga Circe trasformò i suoi soldati in maiali. Ai suoi uomini chiese sempre il coraggio di alzare le vele e di mettersi ai remi anche verso destinazioni ignote e pericolose. Dante mette in bocca ad Ulisse una frase indimenticabile: «Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza».
La Divina Commedia, la sua opera principale, è insieme un libro di poesia, di filosofia e di politica medioevale. Ci fa conoscere gli usi e i costumi di Firenze, dei vari Stati italiani e dell’Europa del
1300. Ci spiega i furenti scontri fratricidi nella città tra i Bianchi (i guelfi favorevoli al papa ma difensori dell’autonomia cittadina) e i Neri (i guelfi favorevoli al predominio del pontefice di Roma). Ci spiega la sua opposizione anche alla politica egemonica dei re francesi e degli imperatori tedeschi.
Aveva nel mirino ben tre papi: Niccolò III, Bonifacio VIII e Clemente V, accusati secondo i casi di corruzione morale, di simonia, di sete di potere, di soggezione alle potenze straniere. In particolare ce l’aveva con Bonifacio VIII. Nel Paradiso San Pietro accusa Bonifacio VIII perché ha trasformato la sua tomba nella basilica romana in una «cloaca del sangue e de la puzza».
Dante per la sua indipendenza pagò dei prezzi altissimi: nell’esilio fu costretto a vagare tra le diverse corti dei principi degli Stati italiani per guadagnarsi da vivere. Nel Paradiso al suo trisavolo Cacciaguida fa predire la sua dura futura vita di uomo errante: «Tu proverai sì come sa di sale lo pane altrui, e come è duro calle lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale».