Quello che conta è non farsi travolgere. Tutto ci travolge. Ora è il momento del virus. Alla tristezza personale se ne aggiunge una collettiva. Di punto in bianco ci si è trovati isolati dal mondo e da noi stessi, incapaci di far fronte al pericolo sconosciuto.
E poi si sa, l’uomo è un animale sociale, la relazione con gli altri è fondamentale per la nostra sopravvivenza. Invece ci dicono di chiuderci di “slegarci” gli uni con gli altri perché il virus detta legge. Una cosa è certa: pensiamo di più.
Meglio o peggio non importa, l’importante è esserci. O no? C’è un costante aumento di disturbi mentali o disordini affettivi non solo tra la popolazione più anziana e fragile ma soprattutto tra i più giovani, per non parlare dei bambini.
La solitudine fa male a tutti ma ad alcuni fa male di più. Prendiamo i bambini, ad esempio. Il loro corpo e la loro mente si stanno ancora formando, sono ancora “embrionali”, non hanno uno scudo che li protegga dal male, sono indifesi. Costretti, per forza di cose, a relazionarsi attraverso un computer, hanno dimenticato cosa vuol dire parlarsi, toccarsi abbracciarsi, giocare insieme.
Il gioco è fondamentale per sviluppare la conoscenza del proprio corpo e quello degli altri, per conoscere e conoscersi, prestare attenzione, volersi bene. Sempre più bambini hanno dimenticato il valore del “gioco condiviso”, quel modo di condividere lo stesso tempo e lo stesso spazio scambiandosi i ruoli, stiamo perdendo di vista il “bambino mondo”, il mondo visto con gli occhi di un bambino perché poco importa agli adulti il “bambino mondo”, ciò che conta è quello che vogliono “i grandi”, la loro visione delle cose, la loro inquadratura. Ogni tanto dovremmo riflettere su questo, cambiare la nostra visione o inquadratura, il nostro sguardo. E imparare ad ascoltare anche il silenzio.
«Solo un bambino può capire un bambino quando vede piangere un lago».