Il Consiglio di Stato ha dichiarato illegittima la chiusura dell’ospedale San Giacomo. Lo ha fatto con la sentenza del 7 aprile 2021, n. 2802 accogliendo il ricorso di Oliva Salviati discendente del cardinale Antonio Maria Salviati, autore nel ‘500 della donazione dell’ospedale San Giacomo alla città di Roma,
Il Consiglio di Stato ha affermato l’illegittimità del DCA n. U0008 del 2008 con cui si disponeva la cessazione dell’attività sanitaria entro il 31 agosto 2008. Illegittimità per errore sui presupposti e sviamento del potere rivolto a realizzare un risultato diverso rispetto a quello previsto dall’Accordo Stato-Regione Lazio, cui lo stesso aveva a inteso dare attuazione.
Infatti l’immobile sin dal 1593 era ed è soggetto al vincolo di destinazione d’uso esclusivo di ospedale per la cura dei malati, in virtù della “donazione modale” del cardinale Salviati.
Il piano di cui alla delibera di giunta regionale n.149 del 6 marzo 2007 e le norme della stessa legge regionale n.14/2008 (legge di assestamento del bilancio annuale e pluriennale 2008-2010) non imponevano, per il perseguimento del fine di riorganizzazione e razionalizzazione della rete ospedaliera, né ai fini del ripianamento del disavanzo finanziario della sanità regionale, la necessaria dismissione tout court dell’attività ospedaliera del presidio San Giacomo.
Lo stesso commissario ad acta Zingaretti, al momento della sua attivazione pur impegnato per il «riassetto della rete ospedaliera con adeguati interventi di dismissione/riconversione dei presidi non in grado di assicurare adeguati profili di efficienza e di efficacia», non era vincolato alla scelta, poi fatta, di disporre la cessazione dell’attività sanitaria ospedaliera dell’Ospedale San Giacomo.
Come osservato dalla sentenza il decisore politico nell’esercitare il suo potere avrebbe dovuto farlo tenendo conto di molteplici esigenze, quali il diritto degli assistiti alla fruizione di prestazioni sanitarie adeguate, l’efficienza delle strutture pubbliche, l’interesse pubblico al contenimento della spesa e finanche le legittime aspettative degli operatori privati che operano nel settore (Consiglio di Stato sez. III, 17/12/2015, n.5729; 18 giugno 2013, n. 3327;Id., 14 gennaio 2013, n. 134).
La discrezionalità amministrativa – stando al collegio giudicante – nel caso in esame, tenendo dei canoni di ragionevolezza e buon andamento, era limitata dal vincolo della “storica” destinazione dell’immobile e cioè la pubblica finalità delle cure ospedaliere.
In buona sostanza il Consiglio di Stato ha osservato che nel decidere discrezionalmente l’amministrazione regionale non avrebbe potuto prescindere da una adeguata ponderazione e bilanciamento di tutti vari profili di interessi implicati, di rilevanza sia pubblica che privata.
Appare evidente che tale sentenza ha un particolare rilievo anche perché fa testo in merito a altre scelte similari, poco ponderate della Regione Lazio. La Regione Lazio deve ora dare esecuzione alla sentenza. L’assessore regionale alla Sanità ha dichiarato di non avere necessità di altri posti letto in ospedali fatiscenti e a suo giudizio irrecuperabili.
Penso sia legittimo chiedergli di riflettere ancora e chiedere alle forze politiche del consiglio regionale di valutare bene e con rispetto una importante sentenza del Consiglio di Stato. Per quanti vogliono che l’ospedale continui ad esistere per le finalità sanitarie vincolanti indicate dal cardinale Salviati, la sentenza pone alcune questioni che, se non risolte, potrebbero intralciarne l’iter attuativo, che sono legate agli atti precedenti della Regione Lazio e che attengono all’attuale indisponibilità dell’immobile da parte della regione.
La Giunta Storace nel 2011 aveva ceduto il San Giacomo, insieme ad altri immobili, alla società San.Im spa nell’ambito di una estesa cartolarizzazione, riprendendoselo poi in affitto. I crediti vantati dalla San.Im erano stati poi ceduti ad altra società che aveva emesso titoli obbligazionari.
Nel 2017 la regione aveva riacquistato alcuni degli immobili oggetto della cartolarizzazione tra i quali anche il San Giacomo, ma poi nel 2018 aveva conferito l’immobile al fondo “i3-RegioneLazio” gestito dalla società INVIMT (di proprietà del ministero dell’Economia e delle finanze), allo scopo di venderlo per un importo di 61 milioni di euro per trasformarlo in residenza per anziani. L’amministratore delegato dell’INVIMT, a suo tempo, ha già affidato un incarico con una spesa di 18.000 euro per la redazione di uno studio sul potenziale mercato e la valorizzazione dell’immobile in data 8 marzo 2017.
Ora il Consiglio di Stato consente di riavvolgere in senso inverso il nastro della storia recente dell’ospedale San Giacomo, un bene comune della città di Roma per volontà del cardinale Salviati.
Nel caso, la Regione, come appare ragionevole, adottasse gli atti per rientrare in possesso del bene in questione quale sarà la possibile destinazione d’uso atteso che va rispettata la sentenza e con essa la condizione posta tanto tempo fa alla donazione (che è quella di essere ospedale per la cura dei malati)?
La popolazione che vive nell’area centrale di Roma (prevalentemente anziana e consistentemente con redditi medio-bassi) e i molti che operano nell’area circostante pongono bisogni di tutela sanitaria che vanno soddisfatti. Al contempo vanno considerate, come già nel passato, le specifiche strutturali, del San Giacomo, e i vincoli della Soprintendenza ai beni culturali che non sono ostative in assoluto allo svolgimento di funzioni sanitarie. Lo confermano gli investimenti importanti fatti nell’ospedale da parte della Regione non più tardi della vigilia della chiusura dell’ospedale. Tali vincoli esistevano anche prima e possono esseri gestiti come in altre strutture sanitarie storiche al servizio di una città il cui centro storico è abitato ininterrottamente da sempre.
La struttura potrebbe essere destinata a Ospedale di Comunità, una tipologia di struttura che è prevista dal Piano di rientro approvato con DCA n.U00081 del 25 giugno 2020 e a poliambulatori per la popolazione. Uno di questi potrebbe essere impostato “al femminile” per le problematiche di genere. In tal senso andando incontro ad una necessità non sufficientemente presa in carico dal nostro Servizio sanitario regionale.
Con l’inserimento dell’ospedale di Comunità nella rete delle strutture sanitarie della città si verrebbe a contemperare la “condicio” posta dal donatore con le esigenze della programmazione regionale in quanto i posti letto degli ospedali di comunità non sono conteggiati nel 3% posti letto ogni 1000 abitanti. Il che già avviene nel caso delle Case della salute laddove sia previsto anche il modulo aggiuntivo con posti letto a gestione infermieristica. Alla fine ne trarrebbe un beneficio la popolazione soprattutto anziana, che oggi è costretta a recarsi al Santo Spirito, al San Giovanni o al San Camillo anche per prestazioni che potrebbero essere erogate più in prossimità.