Ci sono storie che non possono essere raccontate. Sono come bugie. Bisogna viverle. Se ci si ammala di solitudine, i sintomi non tarderanno a manifestarsi. Spesso chi ne soffre sente il bisogno di isolarsi nell’isolamento, di spingersi oltre, ancora più a fondo rischiando di finire in un vortice senza fine. Senza fame. E le due cose non sono slegate tra loro. Anoressia, un termine oggi molto abusato, vuol dire appunto senza fame. In realtà spesso chi ne soffre ha fame ma decide di non averne, un
imperativo categorico che costringe al controllo su tutto. Un apparente controllo sul peso, le calorie ingerite, le energie bruciate; in realtà un controllo su sé stessi, sulla propria determinazione e forza di volontà, un controllo fittizio, basato sui numeri piuttosto che sulle emozioni. C’è un’incapacità di fondo a “leggere” i propri sentimenti, le proprie emozioni, il proprio vuoto interiore che si vuol lasciare vuoto, privo di cibo; cibo visto appunto come un nemico anziché veicolo e portatore di vita.
Non si vuole morire ma scomparire, piano piano, rimpicciolirsi e tornare infanti almeno nel corpo, ma la mente no, deve funzionare, contare, organizzare, controllare. Senza considerare che mente e corpo viaggiano insieme e se si svuota il proprio corpo ne risponde anche la mente. Spesso si inizia per gioco o per sfida e poi si finisce per non poterne più fare a meno, come tutte le dipendenze. Quello che fa più male è l’idea che la presenza di cibo sia in realtà presenza di emozioni e che quindi bisogna starne alla larga, quando invece è la pienezza che fa paura, la pienezza della vita. Quando viene a mancare l’amore per sé stessi e per il proprio corpo, quest’ultimo diventa il bersaglio perfetto per potercisi accanire, per sputarci addosso tutta la propria rabbia in un gioco al massacro tra sé stessi ed il proprio fantasma, la propria ombra, l’unica risorsa disponibile. E allora il potere terapeutico dell’altro, della vicinanza, dell’amore, altro non sono che un ripiegarsi su sé stessi, sul vuoto, quel terribile buco nero che divora. Sicuramente ci vuole consapevolezza, accettazione del diritto di farsi aiutare affinché la fame di vita possa sostituire il desiderio di sparire, affinché ci si renda conto che non c’è bisogno di morire per rinascere.