Ebbene sì, prendiamo in prestito gli immortali versi del XXIII Canto dell’Inferno che il sommo Dante fece pronunciare al Conte Ugolino per sintetizzare, con estrema ratio, un fatto talmente evidente che dovrebbe essere inserito, di diritto, nella nostra Costituzione: l’Italia è una Repubblica fondata sul calcio. Amato, odiato, venerato, disprezzato, il vecchio pallone di cuoio duro, oggi realizzato in poliuretano espanso e in materiali impermeabili al 100%, nonostante tutto, continua a rotolare e a scrivere le pagine più importanti del nostro Paese.
Nel bene e nel male. Questa volta la notizia è quella di una svolta, di una incoraggiante ripresa, di un “rischio ragionato”, per dirla alla Mario Draghi: le quattro partite dei prossimi campionati Europei che si giocheranno nei mesi di giugno e luglio allo Stadio Olimpico di Roma, avranno, per la prima volta dopo lo scoppio della pandemia (marzo 2020), la presenza di spettatori sugli spalti. Si tratta di una cifra minima, circa il 25% della capienza totale, 18/20.000 presenze ad occhio e croce, ma è già qualcosa.
“Il calcio fa ripartire l’Italia”, così le prime pagine di alcuni dei maggiori quotidiani sportivi hanno annunciato la lieta novella. “Grande vittoria del presidente Gravina” hanno aggiunto gli altri rendendo il giusto onore al merito, all’impegno, alla determinazione e soprattutto al coraggio del numero uno della F.I.G.C.
D’altronde, la decisione presa dal governo e dal Comitato tecnico scientifico era di fatto nell’aria, forse persino obbligata: molti italiani stanchi, provati, demoralizzati e delusi dalle cervellotiche decisioni del “Conte I e Conte bis”, non avevano ancora avvertito quel tanto atteso e sospirato cambio di passo che si aspettavano da Draghi. Utilizzando una metafora calcistica, è come se il cambio di allenatore non fosse stato, ancora, avvertito dalla squadra (il nostro Paese) ed il nuovo mister decide, quindi, di giocarsi il tutto per tutto nella partita più importante, quella di maggiore visibilità, nel big match.
L’ex presidente della Bce ha, infatti, scelto il palcoscenico più prestigioso a livello internazionale e lo sport più popolare per dimostrare a tutti, in particolare ai detrattori, di che pasta, di che stoffa è fatto e che, come si diceva un tempo, la classe non è acqua.
Certo, dobbiamo ricordare come molto spesso le decisioni politiche più rischiose siano legate a doppio filo tanto al consenso popolare quanto all’interesse economico e che rinunciare alle quattro partite dell’Olimpico avrebbe significato “buttare in tribuna” anni di duro lavoro, milioni e milioni di euro per la promozione dell’evento, ed ingentissimi sponsor U.E.F.A. che, bontà loro, richiedono, a tutti i costi, i loro iconici marchi all’interno di uno stadio che nel mondo evoca storia, cultura e bellezza.
In fin dei conti il rischio che correva l’Italia era molto semplice, quasi scontato.
Se ben vi ricordate l’ormai celeberrimo siparietto, divenuto virale sui social, della Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen a cui il premier turco Erdogan nega la poltrona istituzionale relegandola in uno sfarzoso quanto isolato divano, non ci andrete troppo lontani.
Considerando che la gara inaugurale della nostra Nazionale sarà proprio contro la Turchia, il gioco era quasi automatico: portiamo la gara a Istanbul così oltre alla sedia per von der Leyen, togliamo al C.T. Roberto Mancini, anche, il campo amico costringendolo ad una infuocatissima trasferta allo stadio Ataturk.
Figuriamoci se la nostra Federazione, con alle spalle 120 anni di storia, quattro mondiali vinti da protagonista, e una squadra giovanissima che non perde da ben 24 partite ufficiali, poteva farsi gabbare come una comparsa qualsiasi di “Ali Babà e i quaranta ladroni”.
La stessa U.E.F.A. nella persona del suo presidente Alexander Ceferin che, lo scorso giugno, tentò a tutti i costi, di far giocare Euro 2020, in piena prima ondata di coronavirus, è stato molto paziente, ha atteso tutto il tempo necessario per avere dalla nostra Federcalcio l’agognata risposta positiva.
La nostra Nazione è infatti il Paese che, insieme all’Inghilterra, la Spagna e la Germania, ospiterà più partite in quello che sarà il primo Campionato europeo itinerante nella storia di questa competizione.
Una rivoluzione fortemente voluta dall’allora presidente del calcio europeo, Michel Platini, prima di venire incastrato nell’ “affaire Blatter” che ha sancito la fine della sua breve e fulminante carriera politica.
Da 32 anni l’Italia non organizzava un torneo così importante e di così ampio respiro. Senza l’emergenza sanitaria provocata dal coronavirus sarebbe stata una grandissima festa con un Olimpico strapieno in ogni ordine di posto, colorato da ottantamila tricolori, che all’unisono avrebbero cantato il nostro inno nazionale.
La nostra mente sarebbe tornata indietro alle memorabili notti magiche di Italia ‘90 cantate da Edoardo Bennato e Gianna Nannini quelle, per intenderci, degli occhi sgranati di Totò Schillaci, delle serpentine imprevedibili di Roberto Baggio e, ahinoi, anche della fatale uscita a vuoto di Walter Zenga contro l’Argentina di Diego Armando Maradona. Questa volta in uno stadio semideserto, in cui i pochi e fortunatissimi spettatori saranno obbligati a mostrare all’ingresso il pass vaccinale o la prova del tampone, a difendere i nostri colori contro la Turchia (12 giugno), la Svizzera (16 giugno), il Galles (20 giugno) ci sarà la nazionale del “nuovo Rinascimento” di Donnarumma, Barella, Pellegrini e Immobile che, finora, ha convinto sul piano del gioco e della mentalità.
A questi ragazzi chiediamo un doppio impegno: regalare un sorriso sulla bocca degli italiani e mettercela tutta per riportare in bacheca una coppa che manca dal 1968.
Per il momento ad esultare sono gli alberghi nei pressi dello stadio Olimpico presi d’assalto, finalmente, dalle prenotazioni anticipate dei tifosi stranieri.
“E quindi uscimmo a rivedere le stelle”…
L’Inferno è finito passiamo al Purgatorio…
Il calcio non è morto… viva il calcio.