Prima un successo travolgente, impensabile. Poi le difficoltà. Infine il divorzio di Casaleggio dal M5S e da Grillo. Il matrimonio politico perfetto è durato anni: da una parte Davide Casaleggio, figlio di Gianroberto, fondatore con Grillo dei cinquestelle, proprietario della società Casaleggio Associati, presidente dell’Associazione Rousseau. Dall’altra parte Beppe Grillo, autodefinitosi l’Elevato, straordinario attore comico, fondatore e vate carismatico del Movimento 5 stelle.
Da una parte la piattaforma Rousseau, materializzazione digitale della declamata democrazia diretta, il cuore delle votazioni online per decidere i candidati cinquestelle nelle elezioni politiche e amministrative, pilotata da Casaleggio. Dall’altra parte Grillo, il vero capo dei pentastellati, dirompente forza populista e anti élite, 32% dei voti nelle elezioni politiche del 2018. Grillo, l’ideatore delle mille svolte politiche: dall’opposizione anti sistema a forza di governo (prima con la Lega, poi con il Pd, quindi con Mario Draghi), dalle sortite per dire addio all’euro alla decisione di sposare l’europeismo.
Il divorzio di Casaleggio è arrivato dopo lunghi contrasti. Prima, a marzo, l’Associazione Rousseau ha pubblicato “un Manifesto” intitolato Controvento con l’obiettivo di fornire ai cittadini «diritti di cittadinanza digitale». Poi, ad aprile, è arrivata la rottura: «L’Associazione Rousseau cambia strada» anche se «la scelta è dolorosa». Come in tante rotture matrimoniali una motivazione forte sono i soldi. L’accusa: dal gruppo dirigente del M5S c’è stato «un invito diretto a violare» gli accordi sui versamenti dovuti dai parlamentari per le prestazioni della piattaforma Rousseau. Così sono state avviate «le procedure per la cassa integrazione» per i dipendenti della piattaforma Rousseau.
A pensare che fino a quattro anni fa tutto andava a gonfie vele. Nel 2017 Casaleggio sprizzava gioia: la piattaforma Rousseau è «il motore del Movimento», ha cambiato «il modo di fare politica…Vogliamo raggiungere un milione di iscritti entro la fine dell’anno prossimo».
Ma non è andata così. Il Movimento 5 stelle ha deluso molte promesse: la gestione interna leninista ha smentito il motto storico di “uno vale uno”, dal “mai alleanze” è passato a tre governi diversi con gli antichi nemici (Lega, Pd, Draghi). Anzi Grillo si è fatto profeta delle svolte: nell’agosto 2019 definì «un’occasione unica» l’esecutivo con il Pd, nel 2021 giudicò «un grillino» Draghi per il sì al ministero della Transizione ecologica.
Le marce indietro hanno provocato tante disfatte elettorali, la fuga di militanti e di parlamentari, le dimissioni di Di Maio da capo politico, l’acuirsi delle critiche di Casaleggio, ancorato alla originaria identità antagonista dei pentastellati. Di qui il divorzio di Casaleggio, divenuto inevitabile nonostante i tanti tentativi di ricucitura dei dissensi.
L’ultima mazzata è arrivata con le accuse di stupro piovute sulla testa di Ciro Grillo, figlio di Beppe. Il garante dei cinquestelle in un contestato video ha difeso Ciro: «Non c’è stato alcuno stupro», invece c’è stata «la consensualità». Molti grillini non hanno preso bene la virulenta difesa del figlio svolta da Grillo senza riflettere sul suo ruolo pubblico.
Adesso il futuro dei grillini è appeso a un filo. Il comico genovese più di due mesi fa aveva chiesto a Giuseppe Conte d’impegnarsi per costruire un nuovo M5S. L’ex presidente del Consiglio aveva accettato l’incarico ma poi era scomparso dalla scena politica. I tanti scogli comparsi sulla sua rotta per rifondare i cinquestelle lo hanno messo in forte difficoltà. Ma ora sembra arrivato quasi al traguardo: nei primi giorni di maggio potrebbe presentare il programma elaborato per far nascere un nuovo M5S.