Due anni dopo il caso Palamara, il nuovo scandalo che si è abbattuto sul Consiglio superiore della magistratura permette di gettare uno sguardo dietro le quinte del cosiddetto “circo mediatico giudiziario”. Quel sistema di diffusione a mezzo stampa di verbali “secretati” che dovrebbero restare chiusi nella cassaforte di un magistrato.
Al centro del caso che torna a scuotere il Csm ci sono, appunto, verbali che dovevano rimanere secretati e invece sono finiti su alcuni giornali. Si tratta della deposizione dell’avvocato Piero Amara, arrestato nel 2018 nel corso dell’inchiesta Eni-Nigeria. Carte piene di “rivelazioni” o presunte tali su una loggia massonica, magistrati e politici.
La novità di queste “rivelazioni” non è nella lotta senza esclusione di colpi tra le correnti della magistratura o nelle dichiarazioni senza prove che dovrebbero infangare qualche potente. La novità è che questa volta il percorso delle carte risulta perfettamente tracciato. Con tanto di mittente, postino e destinatario.
Abbiamo un magistrato, il pm di Milano Paolo Storari, che per circa sei mesi, tra fine 2019 e maggio 2020, avrebbe chiesto invano ai vertici della Procura, di effettuare delle iscrizioni nel registro degli indagati per andare a verificare le dichiarazioni dell’avvocato Amara. E che alla fine, come “forma di autotutela” decide di consegnare i verbali all’allora consigliere del Csm Piercamillo Davigo, uno degli storici protagonisti del Pool di Mani Pulite.
Poi abbiamo la signora Marcella Contrafatto, impiegata del Csm e già segretaria di Davigo, sospesa dal servizio e indagata con l’accusa di aver inviato alcuni di questi verbali (apocrifi e in formato word) a due quotidiani. Infine ci sono i giornali che si prestano a fare da buca delle lettere rendendo pubbliche le deposizioni di Amara. E così il circo mediatico giudiziario si chiude. Con buona pace della giustizia, dell’informazione e della decenza…