L’auto italiana degli stabilimenti Stellantis sta male, ha la febbre alta. Nei primi mesi del 2021 la cassa integrazione ha colpito Mirafiori, Grugliasco, Cassino, Pomigliano D’Arco, Melfi. Il governo Draghi ha pazientato poi alla fine ha strigliato Stellantis, il gruppo nato a gennaio dalla “fusione paritaria” tra l’italo-americana Fca e la francese Psa.
La stoccata l’ha fatta partire Giancarlo Giorgetti: «Il governo intende richiamare il gruppo Stellantis in qualche modo agli impegni assunti». Il ministro leghista dello Sviluppo economico ha affrontato il caso Stellantis rispondendo a delle interrogazioni alla Camera: gli impegni assunti lo scorso anno da Fiat Chrysler Automobiles verso l’esecutivo italiano, quando fu concessa la garanzia statale al prestito da 6,3 miliardi di euro, «restano in vigore» anche dopo la fusione tra i due gruppi automobilistici.
Gli impegni presi allora da Fca li ha ricordati con puntiglio Giorgetti: oltre 5 miliardi di euro d’investimenti nelle fabbriche italiane, il lancio dei nuovi modelli, nessuna delocalizzazione della produzione, «il raggiungimento della piena occupazione entro il 2023».
Invece si è visto ben poco dell’auspicato rilancio. Addirittura si parla della possibile eliminazione di una delle due linee di montaggio di Melfi, il maggiore stabilimento italiano. Il ritardo negli investimenti e nel lancio dei nuovi modelli promessi sta causando pesantissime conseguenze. Le fabbriche del nostro paese lavorano a ritmi molto ridotti, Cassino (dove si costruiscono le Alfa Romeo) addirittura marcerebbe intorno ad appena il 15% della capacità produttiva.
Stellantis all’inizio del 2021 va bene in America del nord e del sud, in Francia, in Germania ma non in Italia. Il nuovo gruppo automobilistico di proprietà della famiglia Agnelli-Elkann, di quella Peugeot e del governo francese va bene dove sono stati effettuagli gli investimenti. Michele De Palma, segretario nazionale della Fiom Cgil, e Simone Marinelli, coordinatore nazionale automotive della Fiom, sono preoccupati ed entrano nei dettagli: «Il risultato positivo in Europa è trainato principalmente dal lancio dei nuovi modelli Peugeot 208 e 2008, Citroen C4 e Opel Mokka mentre per gli impianti italiani aumenta l’incertezza». I due sindacalisti sono allarmati: «Gli stabilimenti italiani sono al minimo, ma soprattutto il piano in corso vede un ritardo sul lancio dei nuovi modelli».
La Fiat 120, ad esempio, presentata con questo nome in omaggio ai 120 anni di vita del Lingotto fondato nel 1899 da Giovanni Agnelli, ancora non si è vista. È una nuova utilitaria innovativa, da produrre sia con un motore elettrico sia con uno a benzina, ma ancora non ha preso il via la costruzione nonostante siano passati ormai 122 anni dalla fondazione della Fiat a Torino.
Carlos Tavares, amministratore delegato di Stellantis e già alla guida di Peugeot, a gennaio aveva tranquillizzato le preoccupazioni dei sindacati sulla sorte dell’auto italiana. Aveva garantito: «Per l’Italia la buona notizia è che Stellantis farà da scudo, da protezione per alcuni stabilimenti, non rappresenta un rischio». Poi aveva lasciato il suo ufficio a Parigi e aveva visitato assieme al presidente di Stellantis John Elkann alcuni stabilimenti della Penisola: Mirafiori, Cassino, Melfi. Sia Tavares sia Elkann hanno sempre assicurato: la fusione non causerà la chiusura di nessun impianto.