Pochi uomini passano alla storia, soprattutto se sconfitti e uccisi. È il caso dei Gracchi. Tiberio Gracco e il fratello minore Gaio Gracco ci sono riusciti al prezzo della loro vita. Sono una delle poche eccezioni. A oltre duemila anni di distanza si parla ancora di loro e della loro eroica e tragica vicenda politica.
Tiberio Sempronio Gracco e Gaio Sempronio Gracco hanno segnato in profondità la storia politica dell’antica Roma: alzarono la bandiera della giustizia sociale, un obiettivo perseguito con determinazione ma fallito. Natale Barca ha scritto uno splendido libro: «I Gracchi. Quando la politica finisce in tragedia». L’autore, nel volume edito da “L’erma” di Bretschneider nel 2019, svolge una analisi accurata e documentata della crisi della società romana del secondo secolo avanti Cristo.
Tiberio Gracco mirò alto con la sua proposta di legge di riforma agraria: puntava a requisire una parte dell’ager publicus, una porzione delle terre demaniali possedute dai latifondisti aristocratici, per darle ai poveri, ai plebei. Una gigantesca redistribuzione della ricchezza. Barca scrive: Tiberio Gracco «prefigura una riforma dell’uso del demanio dello Stato ispirata a un criterio di equità sociale. Gracco parla una lingua diversa da quella del Senato, che rispecchia il classismo della nobiltà».
Tiberio Gracco avrebbe potuto condurre una vita tranquilla e agiata. Discendeva da due delle famiglie più blasonate di Roma: i Semproni da parte di padre e gli Scipioni da parte di madre (la virtuosa Cornelia era figlia di Publio Cornelio Scipione l’Africano). Patrizio, ricco, colto, volle invece impegnarsi in un ideale di uguaglianza sociale che avrebbe cambiato i rapporti di potere tra le classi della Repubblica Romana. Riuscì ad essere eletto tribuno della plebe, si alleò con la nuova borghesia commerciale dei cavalieri e, dopo aspri scontri con i nobili, gli optimates, fece approvare la legge di riforma agraria. Fu una rivoluzione che fu soffocata nel sangue. Tiberio Gracco, accusato dagli aristocratici di ambire alla poltrona di re, fu linciato e ucciso a bastonate nel 133 avanti Cristo nel Foro Romano assieme a molti seguaci. Il suo cadavere fu gettato nel Tevere. Aveva appena 30 anni.
Il fratello minore Gaio Sempronio Gracco ebbe il coraggio di seguire le sue orme. Riuscì ad essere eletto tribuno della plebe, confermò la legge agraria di Tiberio. Cercò di allargare le alleanze oltre ai cavalieri e propose di estendere la cittadinanza romana ai latini e quella latina agli italici. Tuttavia anche il suo tentativo di equità sociale e di riforma dello Stato fallì. Fu assediato dalle milizie dei nobili sull’Aventino. Alla fine molti sostenitori l’abbandonarono. Il tribuno della plebe non volle cadere nelle mani dei nemici. Si fece uccidere alle pendici del Gianicolo. Aveva 33 anni, era il 121 avanti Cristo.
Non si trattò solo di una lotta tra classi sociali dominanti e subalterne. I fratelli Gracchi volevano dare una risposta politica alla crisi della Repubblica. La conquista del Mediterraneo aveva portato immense ricchezze a Roma, ma queste erano finite solo nelle tasche degli optimates e dei cavalieri, la nuova classe ricca dei gabellieri, dei banchieri e dei commercianti. I plebei, impegnati nelle guerre, avevano persino perso i loro poderi per i debiti e andavano ad ingrossare il proletariato e il sottoproletariato parassita e privo di tutto di Roma, mentre gli aristocratici ampliavano i loro latifondi coltivati da migliaia di schiavi senza alcun diritto. La figura cardine del cittadino-soldato fiero coltivatore del proprio podere scomparve. L’esercito si trasformò: dalla leva si passò ai soldati di professione.
Il problema sociale irrisolto deflagrò. Per oltre cento anni la Repubblica Romana fu funestata dalle guerre civili e sociali: Mario contro Silla, Cesare contro Pompeo, Cesare Ottaviano contro Marco Antonio. Patrizi contro plebei, nobili contro proletari si scontrarono con furore. Ma, come nota Natale Barca, l’intento dell’aristocratico di turno alla guida dei populares non era quello dell’uguaglianza sociale ma semplicemente di utilizzare le proteste dei poveri per i propri interessi di potere personale. L’unica eccezione, forse, fu Catilina. Il bello e violento patrizio, accusato in Senato da Cicerone come traditore della Repubblica, in qualche modo si ispirò alle riforme egualitarie dei Gracchi.
Ma si sa come andò a finire. Cesare Ottaviano Augusto, figlio adottivo di Gaio Giulio Cesare, vendicò il vincitore di Pompeo e di Vercingetorige assassinato dai congiurati in Senato. Sconfisse Marco Antonio e pose fine alla Repubblica fondando l’Impero. Le proteste di massa per l’uguaglianza sociale esplosero nel 1900. La bandiera della giustizia sociale fu issata in Europa dai partiti socialdemocratici e da quelli bolscevichi. Ma resta un problema irrisolto. Crollato il comunismo è andata in crisi anche la socialdemocrazia e nel XXI secolo si aspetta ancora una risposta allo strapotere del capitalismo.