D’Alema antipatico, perché è visto così dagli italiani? L’interessato risponde: «Forse è colpa mia». Anzi rettifica: «È stata colpa mia. O anche mia». Massimo D’Alema si confessa con ‘7’, l’inserto del Corriere della Sera. Parla della sua vita privata: la passione per la Roma e per i cantautori, i casi della retribuzione contestata della Fondazione dei socialisti europei («Sono vittima di un attacco meschino»), delle costose scarpe confezionate a mano e della bella barca a vela.
Non ha nulla da rimproverarsi. Sostiene: molti fatti sono stati falsati o travisati, ma ammette: «Non mi sono mai preoccupato troppo della mia popolarità e in questo ho sbagliato».
Parla anche della sua lunghissima vita pubblica. D’Alema antipatico è stato uno dei maggiori protagonisti della politica italiana nella Prima e nella Seconda Repubblica. Fu antagonista di Craxi, Berlusconi, Renzi. Da segretario del Pds e dei Ds, i due partiti eredi del Pci, era potentissimo. Faceva e disfaceva i governi. Indica un solo errore politico: nel 1998 accettò «di fare il presidente del Consiglio dopo che Bertinotti aveva fatto cadere il governo Prodi». Riconosce: «A conti fatti fu un errore». Quello, ma non lo dice, fu un doppio errore: per fare il governo imbarcò l’Udr nata su ispirazione di Cossiga e formata da molti parlamentari (guidati da Mastella e Buttiglione) provenienti dalle file avversarie, quelle del centro-destra di Berlusconi.
Commise molti errori non menzionati: promosse con Occhetto lo scioglimento del Pci dopo il crollo del Muro di Berlino nel 1989, tuttavia la metamorfosi del partito non portò alla nascita di una nuova forza socialdemocratica ma a due formazioni, il Pds e i Ds, dai connotati confusi, dalla prevalente identità liberaldemocratica. A sinistra il rapporto fu conflittuale prima con Craxi, poi con Prodi, quindi con Renzi. D’Alema parla solo del rapporto con l’ex segretario del Psi. Chiosa: fu un suo avversario politico ma non ha mai detto che Craxi si arricchì con la politica, anzi non ha «mai partecipato al linciaggio moralistico-giudiziario».
Non una parola, invece, sui contrasti con l’inventore dell’Ulivo e su quelli con Renzi. D’Alema organizzò la scissione dal Partito democratico e fondò con Bersani Articolo 1 – Movimento democratico e progressista perché il Rottamatore, disse nel 2017, «ha distrutto il Pd e lo ha svuotato di contenuti democratici».
Risultato: il Pd prese una sberla dalla quale non si è più ripreso e Articolo 1 adesso è dato dai sondaggi sotto il 2% dei voti. Gli errori, anche recenti, sono stati a cascata. Lo scorso dicembre puntava ancora sul governo Conte due: è «senza alternative». Ma l’alternativa era già nell’aria: si è materializzata poco dopo con Mario Draghi a Palazzo Chigi.
L’ex presidente del Consiglio si è ritirato dalla politica attiva e si è dedicato allo studio e alla sua tenuta che produce vino in Umbria. Mantiene una forte passione per la politica. Però, a parte l’antipatia, la credibilità politica di D’Alema è stata azzerata. È stato abbattuto un mito. La figura del segretario comunista preparato, sagace, imbattibile, anche spregiudicato, non esiste più.