Rivedere la nostra Nazionale allo Stadio Olimpico, impegnata nella fase finale di Euro 2020, vincere e convincere contro la Turchia nella gara inaugurale e ripetersi con lo stesso punteggio di tre a zero contro la Svizzera è stato come un sogno ad occhi aperti.
Per un attimo siamo ritornati indietro nel tempo.
A più di trent’ anni fa.
Come per magia abbiamo sentito l’eco lontano, lontanissimo, ma ancora straordinariamente potente: Zenga, Bergomi, Maldini, Ferri, Baresi, Ancelotti, De Napoli, Giannini, Donadoni, Baggio, Schillaci.
In panchina a disposizione del Ct Azeglio Vicini con il numero 12 Tacconi…
Correva l’anno 1990 del mese di giugno e seduti davanti al teleschermo, in religioso silenzio, con le finestre aperte per far entrare un po’ di fresco in casa, ascoltavamo la rassicurante voce di Bruno Pizzul che scandiva, uno per uno, i nomi degli Azzurri che avrebbero dovuto riportare sul suolo patrio quella Coppa del Mondo conquistata da Rossi e compagni, nel 1982, in Spagna, e lasciata con troppo fretta e con troppa facilità nelle mani di Diego Armando Maradona, quattro anni dopo, in Messico.
Inutile dire che l’Italia intera era tutta lì, impalata ed accaldata davanti al teleschermo in trepidante attesa del fischio d’inizio.
Del resto era dal 1934 che il nostro Paese non ospitava la fase finale di un Mondiale di calcio (peraltro vinto, quell’anno, dalla Nazionale di Vittorio Pozzo) e l’attesa era, davvero, esagerata, spasmodica, alle stelle: serpentoni biancorossoverdi nelle strade, intere piazze stracolme di tifosi in festa, monumenti millenari avvolti, premurosamente, nel tricolore.
Tutte le fontane, da nord a sud, da est a ovest, prese d’assalto dopo ogni vittoria della Nazionale; un bagno liberatorio quanto propiziatorio come se ci si immergesse nelle acque sacre del Gange o del Nilo.
Quel rito collettivo scattava, senza bisogno di messaggi whatsapp, verso le 22:30 e univa, magicamente e straordinariamente, una Nazione ad una squadra che dentro il rettangolo verde sembrava, davvero, invincibile.
Che dire poi dei fortunatissimi 80.000 spettatori che gremivano, in ogni partita, gli spalti appena rinnovati dello stadio Olimpico di ROMA, e che oltre alle cinque vittorie consecutive dei nostri ragazzi sperimentarono, per la prima volta, una caratteristica e coinvolgente coreografia proveniente dagli Stati Uniti ed inventata, nel 1944, da un certo “Krazy” George Henderson?
Forse la ricorderete: consisteva nel battere forte i piedi per terra, poi, quando arrivava il momento giusto bisognava alzarsi in piedi con le mani stirate il più possibile verso l’alto…
Passò alla storia con il termine spagnolo di “ola” ed il più delle volte iniziava da una delle due curve per poi passare alle tribune in un moto, circolare e continuo, che ricordava moltissimo il movimento ondulatorio del mare.
Inutile dire che furono vari, molteplici e anche divertentissimi i tentativi di imitazione:
nelle scuole, ad esempio, le classi più spericolate ed indisciplinate contavano il numero di ole consecutive all’insaputa del professore impegnato a spiegare la lezione alla lavagna.
Sono passati oltre 30 anni da quell’estate delle “notti magiche” cantate, a squarciagola, da Edoardo Bennato e Gianna Nannini in cui una sventurata uscita a vuoto di Walter Zenga (fino ad allora impeccabile) ci costrinse ad una sfortunatissima lotteria dei rigori e quindi ad una maledetta ed ingiusta eliminazione in semifinale contro l’Argentina.
Trenta anni in cui la nostra società è stata completamente stravolta, rivoluzionata, snaturata dall’avvento di Internet, dei social network, e da una tecnologia sempre più dominante, dilagante e travolgente.
Lo stesso Football ne ha subito il pericoloso fascino tanto da piegarsi fatalmente, dopo quasi 170 anni, alle sue logiche fredde, spietate ed inesorabili che ne hanno sostituito il business al gioco.
Se pensiamo infatti che al Mondiale di Italia 90 era ancora possibile passare la palla indietro al portiere per addormentare il gioco e fare melina, che gli unici monitor erano quelli a disposizione dei telecronisti, e che i calciatori non avevano neanche il nome sulle magliette, altro che trent’anni, sembra passato un secolo dal calcio moderno di oggi, quello supersonico ed ultramoderno, che ama definirsi 2.0 ed è dominato da marketing, merchandising, mental e match assistant, Video assistant referee, goal line technology.
«Cosa resterà di questi Anni Ottanta afferrati e già scivolati via…».
Così cantava con un velo di malinconia, Raffaele Riefoli, in arte Raf, in un bellissimo festival di San Remo 1988 vinto poi dal grande Massimo Ranieri con l’immortale “Perdere l’amore”.
Già, cosa è rimasto, questa volta, di quegli Anni 90?
Se ci fermiamo al calcio, nonostante che le nuove regole imposte, negli ultimi tempi, da F.I.F.A. e U.E.F.A. abbiano stravolto tempi, modi, orari e svolgimento delle gare proponendo assurde e cervellotiche norme sul fuorigioco (attivo e passivo), sul fallo di mano, e sull’assegnazione del calcio di rigore di una cosa siamo sicuri: l’amore infinito degli italiani per la Nazionale rimarrà per sempre.
Del resto lo dimostrano gli ascolti record delle prime due partite: 13 milioni di spettatori hanno seguito la prima gara contro la Turchia e ben 13.500.000 la seconda contro la Svizzera.
Share del 51%.
Merito del gioco spumeggiante, armonico e soprattutto vincente che il CT Roberto Mancini ha imposto alla squadra.
Sembra di rivedere la sua “Sampdoria dei miracoli”, quella del leggendario Presidente Paolo Mantovani, della vecchia volpe Vujadin Boskov e del bomber Gianluca Vialli (ora suo vice) che vinse uno storico scudetto nel 1992.
Un anno e mezzo di lontananza forzata dagli stadi e dai “bar dello sport” non ha, quindi, cambiato di una virgola la passione della gente, che imprigionata per troppo tempo adesso vuole dare sfogo ai suoi sentimenti più genuini e naturali.
Ancora una volta è il calcio a farci ritrovare il sorriso, a farci esplodere di gioia ad un gol, a farci infilare la maglietta azzurra come fossimo bambini, a farci sentire fieri ed orgogliosi di essere italiani.
E allora tutti insieme: Donnarumma, Spinazzola, Di Lorenzo, Chiellini, Bonucci, Locatelli, Jorginho, Barella, Berardi, Insigne, Immobile.
Perché è vero: quello che ci siamo appena apprestati a vivere è un Europeo con la mascherina, con soli 20.000 spettatori allo stadio, con rigide norme di sicurezza e drastiche restrizioni anti Coronavirus.
Insomma, una festa a metà…
E allora va bene: per questa volta la ola al gol della nostra Nazionale la faremo seduti, comodamente, sul nostro divano, anziché nella fontana di piazza del Popolo il tuffo propiziatorio, dopo una vittoria, lo faremo nella vasca di casa…
Ma state sicuri…per poco, ancora per molto poco.
Forza Azzurri!!!