Domenica sera, scongiurato il flop alle primarie di Roma e Bologna, il segretario del Pd, Enrico Letta, non ha resistito. E ha dato subito fiato alle trombe: «Oggi è una grande festa della democrazia e della partecipazione».
Dopo il recente disastro di Torino, un fallimento dei gazebo per la scelta dei candidati sindaci della capitale e del capoluogo di quella che una volta era l’Emilia rossa avrebbe devastato il partito.
Ma se il sospiro di sollievo del successore di Zingaretti per lo scampato pericolo è comprensibile, meno comprensibile risulta il ricorso alla consunta retorica dei gazebo. Primo perché, dando un’occhiata ai dati dell’affluenza, le primarie sembrano ormai un rito stanco che non a caso ha smesso da tempo di attirare il “popolo della sinistra”, secondo perché il Pd è messo male. Senza una visione, senza un progetto, senza un vero target di riferimento e senza una chiara politica delle alleanze.
E se è vero che, dopo Zingaretti, anche Enrico Letta ha puntato sull’alleanza con i Cinquestelle, è altrettanto vero che l’abbraccio con il movimento fondato da Grillo, spaccato e sempre più marginale, adesso rischia di rivelarsi mortale. Basti pensare al pasticcio della capitale, dove il candidato dem, Gualtieri, dovrà vedersela con Calenda, ma anche con Virginia Raggi, sostenuta da Conte, e quindi rischia di non arrivare al ballottaggio.
E così il Partito Democratico naviga a vista, improvvisando qua e là, e facendo sventolare qualche bandiera propagandistica, buona per marcare un’identità di sinistra che è soprattutto mediatica. Così è stato per tutte le “proposte” che hanno fin qui segnato la segreteria Letta. La retorica dei gazebo e le primarie di Roma e Bologna descritte come “festa della democrazia” rappresentano quindi solo l’ultima conferma del fatto che l’odierno Pd si muove come una piuma al vento…