Nel prolungato racconto sul green deal italiano si parla poco dell’agroalimentare. Eppure c’è. Vale molti soldi, coinvolge milioni di persone e riguarda estesi interessi industriali. Ma come sarà effettivamente il nuovo modo di produrre e consumare degli italiani? Positivo, caratterizzato da produzioni sostenibili e competitive, dicono all’unisono le organizzazioni del biologico.
L’Enea nella sua ultima indagine con Assobiotec e Federchimica ha censito 721 imprese attive, 13 mila addetti con un fatturato di oltre 11 miliardi di euro. É vero, le campagne del Sud devono salire allo stesso livello di quelle del Nord. Ma intanto la politica si è messa d’accordo sui sostegni da riconoscere. Una bella dotazione di 30 miliardi aggiuntivi a quelli europei del Recovery Fund per coltivazioni senza pesticidi, a basse emissioni inquinanti e tanta buona salute.
Le associazioni di settore sono sollevate per aver condotto e vinto una battaglia trasversale. Alla vigilia dell’arrivo dei primi fondi europei segnano un punto a favore di una filiera strategica che premierà il Made in Italy. Sono contente di contrastare in modo trasparente e condiviso al loro interno, imitazioni e surrogati di tipicità nostrane provenienti da tanti Paesi. Il fronte politico stavolta sembra non registrare crepe al suo interno. Diciamo che se il governo manterrà fede a tutti gli impegni rappresentati in Europa, l’Italia costruirà un efficiente – forse anche invidiabile – sistema agroalimentare. Una partita green a 360 gradi dentro il mega contenitore della nuova politica agricola europea 2023-2027. La Camera dei deputati, approvando il Fondo complementare al PNRR, con i soldi di cui si diceva, ha reso tutto più facile. In realtà per le produzioni biologiche sono allocati 300 milioni di euro da distribuire in cinque anni. Roma è stata generosa anche con la pesca, i prodotti doc e più in generale con il sistema raccolta – distruzione – export. I miliardi di euro aggiuntivi sono poi un segnale anche all’Ue che dovrebbe ritenere il Paese finalmente incamminato verso la spesa produttiva e non assistenziale.
A sbloccare la situazione generale ha contribuito anche una lettera delle organizzazioni bio al presidente del Consiglio Draghi, al ministro dell’Agricoltura Patuanelli e ai capigruppo di Camera e Senato. Nella missiva hanno sottolineato l’importanza di sostenere nel Piano di Resilienza nuovi modelli organizzativi nelle aziende agricole: quando si dice il valore dei documenti formali, l’ascolto della politica ed un ministro che vuole fare bene e si distingue da certe astruserie del movimento da cui proviene. Le risorse stanziate aiuteranno un settore centrale nel contrasto al cambiamento climatico e nella tutela della biodiversità. Le buone pratiche sui territori, infine, possono fare spazio ai giovani che mostrano interesse per lavori agricoli. La partecipazione ai bandi Ismea per l’assegnazione di terre incolte fa ben sperare. Sicuramente da una lezione di impegno di lavoro e di rischio a chi li giudica meritevoli solo di redditi pantaloneschi e sussidi semper tantum.